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Catania al voto per uscire dal pantano

Il capoluogo etneo si avvia alle urne dopo un anno di vuoto amministrativo dovuto alla sospensione prima e alle dimissioni poi del sindaco Salvo Pogliese. E si ripresentano i nodi non sciolti e le criticità: dalla zona industriale al waterfront, all’attuazione del Pnrr

di Nino Amadore

3' di lettura

La zona industriale non è l’unico pantano di Catania. Ormai l’intera città è immobile su un acquitrino. Lo sanno bene tutti da queste parti, all’ombra dell’Etna. Da oltre un anno la città va avanti in assoluto vuoto di potere a Palazzo degli Elefanti, sede dell’amministrazione: Salvo Pogliese è stato sospeso da sindaco a fine gennaio dell’anno scorso e a fine luglio si è dimesso. A settembre la Regione ha affidato il Comune ai commissari. A maggio, a fine mese (il 28 e il 29), si torna a votare e tutti i nodi non sciolti e i problemi cominciano a venire a galla in questa città che è avamposto dell’industria innovativa, alle prese con investimenti miliardari (quelli di Stm e quelli di Enel) e con una ricerca dell’identità urbana che è tutta da costruire. «La provincia di Catania – dice il presidente di Confindustria Antonello Biriaco – genera 20 miliardi di Pil, è quella con il più alto tasso di industria manifatturiera in Sicilia e nel 2022 ha esportato più di 2 miliardi di euro di beni. La provincia di Catania si può davvero definire la Milano del sud, ma tutto questo non corrisponde all'attenzione di chi ci ha amministrato in passato».

Il presidente degli industriali etnei mette in pratica il dito in una piaga ormai sanguinante che fa emergere il paradosso Catania: da un lato una città, per meglio dire un’area, che attrae investimenti miliardari e innovativi, dall’altro un contesto che pregiudica tutto. In mezzo nuovi fenomeni che certo non fanno ben sperare: «La città ha perso a mio modo di vedere l’attrattività soprattutto per i giovani. Paga, possiamo dire, un gap di modernizzazione e manca una certa apertura della città verso il mondo in quest’epoca di globalizzazione. È come se la città fosse implosa» dice Assia La Rosa, imprenditrice che con la sua I-Press ha creato negli ultimi anni una decina di nuovi posti di lavoro nel campo della comunicazione . I dati Istat ci dicono che tra il 2019 e il 31 dicembre 2022 la flessione di residenti nella fascia d’età 18-25 anni è stata di poco più dell’uno per cento ma potrebbero essere parecchi di più i ragazzi che hanno scelto di andare a vivere fuori senza cambiare residenza.

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Tocca a Confindustria Catania stilare l’elenco delle cose da fare: a partire dalla zona industriale che ha bisogno di interventi per essere messa in sicurezza. «Noi chiediamo una visione manageriale – dice Biriaco –: le città sono come aziende, hanno i bilanci, e noi abbiamo ferite mai sanate come Corso Martiri della Libertà, un piano regolatore non approvato, un piano regolatore portuale non approvato. Gli argomenti non mancano, bisogna capire quali sono le priorità. Per noi Catania, con il porto e l'aeroporto che già adesso fanno numeri da favola, può essere un hub del mediterraneo, soprattutto con i progetti sulle Zone economiche speciali. Alla nuova amministrazione chiediamo attenzione ai valori normali del fare impresa».

La verità, dicono in molti, è che manca un visione di lungo periodo ma soprattutto manca una condivisione di base con la cittadinanza di un progetto, di un’idea di città. Quello che oggi si chiede è uno sguardo sul futuro che faccia certo uscire la città dal pantano ma che la proietti anche in una nuova dimensione organizzazione. Un esempio è il water front: per farlo bisogna liberare quell’area della città dalla ferrovia di superficie che dunque va interrata e per fare questo servono progetti, idee e soldi. Insomma un’ottica diversa. Lo dice per esempio con chiarezza il presidente dell’Ordine degli architetti Sebastian Carlo Greco: «Il grande tema che emerge è che la città non sa nulla dei progetti e manca una programmazione a lungo termine e non c’è una strategia unica– dice – . Ma soprattutto manca un luogo di condivisione per esempio un Urban center. Spesso si realizza un’opera solo perché si è presentata l’opportunità di un finanziamento non perché quell’opera risponde a una pianificazione complessiva». Sul tavolo in questo momento sicuramente due temi di grande rilevanza: il Pnrr (si veda box in basso) che appare come la questione più urgente e il Piano regolatore generale. «L’approccio al Pnrr è stato quello di proporre progetti vecchi e non c’è stata la possibilità di confrontarsi. Per quanto riguarda il Prg: ogni volta se ne torna a parlare in campagna elettorale. Il nostro Prg risale al 1979 e questo la dice lunga. Catania è stata condizionata da un blocco di potere condizionato da certa imprenditoria, mafia e politica».

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