l’italia che riparte

Ceci spaziali, filati d’acciaio e plastica riciclata: il made in Italy che resiste al coronavirus

Realtà imprenditoriali spesso sconosciute al grande pubblico. Un filo resistente, che ha permesso loro di superare crisi importanti, come quella del 2008 prima ancora dell’attuale

di Carlo Andrea Finotto e Domenico Palmiotti

Spazio, "ibernazione" degli astronauti: una realtà Made in Italy

9' di lettura

A prima vista si direbbero mentine di liquirizia. In realtà si tratta di compound in polipropilene. Tradotto: granelli di plastica che ora sono anche biodegradabili o realizzati da plastica riciclata, moltiplicando così i loro possibili impieghi. Finiscono ovunque intorno a noi: dai cestelli della lavatrice ai cruscotti delle auto fino agli utensili da lavoro. Solo per elencare alcuni degli impieghi più comuni. A realizzare queste “mentine” di plastica hi-tech dalle elevate prestazioni è un’azienda padovana, la Sirmax, che vende i suoi prodotti in tutto il mondo e ha tra i suoi clienti-partner multinazionali come Whirlpool, Volkswagen, Bosch (per citare le più note).

Da Nord a Sud, un made in Italy che resiste

Sirmax è una delle tante aziende made in Italy che la pandemia di coronavirus non è riuscita a sconfiggere e rappresenta quell’Italia che più che ripartire sarebbe corretto dire che non si è arresa alle successive ondate di covid-19.

Loading...

C’è un filo che lega queste imprese spesso sconosciute al grande pubblico. Un filo resistente, che ha permesso loro di superare crisi importanti prima dell’attuale. Fili all’apparenza fragili ma con un’anima invisibile d’acciaio, come quelli progettati dall’azienda biellese Tcp Engineering che declina al futuro il tessile tradizionale.

Resilienza, innovazione, capacità di adattamento sono le caratteristiche comuni di queste realtà, che si ritrovano anche nella manutenzione a distanza con l’ausilio della realtà aumentata ideata dalla veneta Covi o nella produzione alimentare di Terre di Altamura, che per i suoi snack impiega lo stesso tipo di ceci volati nello spazio con Samantha Cristoforetti.

Plastica per l’industria biodegradabile e riciclata

Cos’ha di particolare la plastica di Sirmax? L’azienda – che conta 700 dipendenti – ha di recente sposato la sostenibilità e l’economia circolare, entrando sia nel settore delle plastiche bio (biopolimeri) sia in quello della plastica riciclata, acquisendo due aziende, la Microtec (di Venezia) per sviluppare il primo comparto, e la Ser di Parma per il secondo. Ha anche investito in ricerca e sviluppo, impiegando polimeri che possono rimanere a contatto con sostanze organiche come la terra o come la pittura, e rinnovando impieghi tradizionali come quello nell’automotive, utilizzando dall’origine della filiera materiali sia riciclati che progettati per essere riciclati. Alcune parti dell’auto (come l’interno dei sedili o la parte sottostante l’abitacolo) possono contenere plastica riciclata, rinforzata e arricchita di polimeri più resistenti rispetto al passato. Questa evoluzione non riguarda solo l’automotive ma anche altri comparti, dagli elettrodomestici agli utensili. Mentre la plastica biodegradabile si presta per l’imballaggio alimentare e gli articoli monouso.

Attività che vengono svolte nei sei stabilimenti produttivi in Italia – Cittadella e Tombolo in provincia di Padova, Isola Vicentina, San Vito al Tagliamento (Pordenone), Salsomaggiore Terme (Parma), Mellaredo di Pianiga (Venezia) –, nei due in Polonia, in quello in Brasile, oppure nei due impianti presenti negli Usa e in quelli in India.

Nel piano di sviluppo proiettato al 2021 l’azienda padovana – che ha anche un ufficio commerciale a Milano e filiali estere in Francia, Spagna e Germania – ha previsto investimenti per 80 milioni di euro con la prospettiva di raddoppiare il fatturato in cinque anni rispetto ai 400 milioni del 2019. Covid permettendo.

Cinque ingegneri e un sottile filo di metallo

Se la ricerca e l'innovazione messe in campo dalla padovana Sirmax contribuiscono a cambiare auto ed elettrodomestici, la biellese T.C.P. Engineering contribuisce nel suo piccolo a dare forma al tessile del futuro. La società è nata nel 2017 dall'idea di cinque giovani soci, ingegneri chimici e tessili, con dottorato, ognuno con una competenza specifica, tutti fondatori: Mirco Giansetti è il presidente, Giuseppe Actis Grande si occupa di ricerca e sviluppo, Massimo Curti di produzione e controllo qualità, Alberto Pezzin è focalizzato sulla parte commerciale, Laura Rognone sulla parte amministrativa.
Vi ricordate la meraviglia, da bambini, quando indossando o togliendo una maglia di lana al buio si vedevano delle scintille? «Ecco – spiega Alberto Pezzin – quello è un classico fenomeno elettrostatico. Se, però, il tessuto ha proprietà conduttive, le cariche elettriche non si accumulano, e il fenomeno sparisce. Questo è uno degli impieghi della tecnologia che prevede l'inserimento di filamenti metallici all'interno di un filato: la produzione di tessuti antistatici». Come spiega Pezzin, oggi l'industria impiega essenzialmente tre materiali: rame, acciaio, argento e la capacità conduttiva del tessuto dipende ovviamente dalla quantità di fibre metalliche inserite nel filato, che può essere sia naturale che sintetico.

Sono, però, soprattutto altri gli impieghi su cui si sta concentrando la ricerca e sviluppo in campo tessile: «Lo smart textile, ad esempio, cioè la produzione di tessuti che integrano sensori o circuiti e che quindi possono trasportare dei segnali» racconta Alberto Pezzin. «Si possono inoltre realizzare tessuti che schermano di molto le onde elettromagnetiche che raggiungono il corpo, ad esempio per limitare gli effetti degli smartphone o di altri dispositivi che ci circondano quotidianamente». Quest'ultimo progetto nasce grazie al finanziamento europeo di Worth Project vinto da Zoe Romano, specialista di tecnologia smart e che sta collaborando con T.C.P. Engineering e il loro partner per quanto riguarda la tessitura, Tfc Casoni, una piccola azienda specializzata in tessuti tecnici e innovazione. Tuttavia, la nuova frontiera riguarda soprattutto «la produzione di tessuti che interagiscono con circuiti e sensori. Google e Levis avevano realizzato tempo fa un prototipo di giacca che consentiva di regolare alcune funzioni del cellulare - ricorda Pezzin –. Oggi non esistono molte applicazioni concrete sul mercato, siamo ancora in una fase di messa a punto, ma fra non molto potremo comandare la casa domotica attraverso i tessuti che indossiamo, anche mentre andiamo in bici o stiamo facendo sport».

Di solito ai tessuti vengono aggiunte determinate proprietà in fase di finissaggio, vale a dire con trattamenti più o meno complessi eseguiti su un semilavorato. «Ma si tratta - spiega l'ingegnere biellese – comunque di trattamenti con una efficacia e una durata legate all'utilizzo e alla manutenzione del tessuto». Invece, «se le fibre metalliche sono parte integrante dei filati il problema del degrado progressivo sparisce» o comunque è enormemente ridotto. Questo tipo di tecnologia, ricorda Alberto Pezzin, prevede l'impiego di fili di metallo «dello spessore di circa 8 micron, equivalente a un dodicesimo di capello umano».

Il distretto cambia volto

A Biella, dove ha sede la T.C.P. Engineering, resiste strenuamente un distretto tessile che ha mosso i primi passi nel XVIII secolo. In passato il distretto è arrivato a contare migliaia e miglia di imprese e circa 50mila addetti. Oggi le aziende attive sono appena 624 e gli addetti molto sotto i diecimila. Una trasformazione profonda è in atto. Questa consapevolezza ha spinto Pezzin e i suoi colleghi a creare nel 2017 la società che oggi ha sede a Città Studi a Biella, che oltre ad aver supportato la nascita della start-up è anche il polo di ricerca e formazione dove trovano spazio i primi anni dei corsi di ingegneria del Politecnico di Torino, dove c'è anche una sede del Cnr e dove si studiano anche le interazioni tra i tessuti e il corpo umano.

«In generale – sottolinea Alberto Pezzin – il tessile in Italia è costituito da aziende medio-piccole, che a differenza delle multinazionali non hanno dipartimenti interni di ricerca e sviluppo. È un problema dimensionale che ha radici storiche». T.C.P. Engineering cerca di ovviare a questo limite. «Le aziende vengono da noi, sviluppiamo un'idea, un progetto e ci lavoriamo, cerchiamo i partner e le tecnologie adatte. Quello che si sta realizzando – spiega il manager è una contaminazione tra settori, dal chimico all'informatico».
Ora il gruppo di cinque ingegneri sta lavorando a un laboratorio per svolgere test e prove industriali per facilitare il trasferimento tecnologico, anche in collaborazione, al momento, con una filatura e una tessitura locali per lo sviluppo dei prototipi».

Magliette per l’elettrocardiogramma continuo

I tessuti smart attuali – giubbotti con microclimatizzatori, magliette che raccolgono parametri vitali, fasce cardio –, stanno avanzando verso la fase 2, che prevede sensori sempre più piccoli integrati nei tessuti: «Un esempio – dice Alberto Pezzin – è la maglietta con filati conduttivi in grado di eseguire un elettrocardiogramma continuo, senza che il soggetto debba indossare cavi e piastrine. Stiamo lavorando a una versione simile ma i tempi non sono brevissimi, perché dipendono da una ulteriore miniaturizzazione dei sensori». Nel suo piccolo T.C.P. Engineering non solo resiste, ma investe e cresce: nel 2020 il fatturato dovrebbe aumentare del 5-6% rispetto al 2019 e «nel 2021 ci aspettiamo di più anche grazie ad attività laboratorio a pieno regime» chiarisce Pezzin.

Coronavirus, dalla Sicilia le mascherine riusabili Made in Italy

Le nuove regole imposte dal virus diventano opportunità

Chi si ferma è perduto: non è solo una citazione che risale a Dante o il titolo di un film con Totò. È la cruda realtà per quei settori produttivi definiti “maturi” che senza una trasformazione profonda rischiano di essere soppiantati dalla concorrenza dei Paesi emergenti. Vale per il tessile, e vale anche per i cablaggi elettrici e la manutenzione.

Il concetto è chiaro alla Covi di Vigonza (in Veneto), un’azienda da 5,5 milioni di euro di fatturato (che nonostante la pandemia dovrebbe restare stabile anche nel 2020), che produce cablaggi elettrici per grandi macchine trattrici: spazzaneve, mezzi agricoli pesanti, gatti delle nevi, tutti i veicoli a movimentazione lenta, insomma.

«In questi mesi di emergenza – sottolinea il presidente Dimitri Casanova - abbiamo continuato a produrre, mantenendo in attività gli stabilimenti. Nel frattempo, abbiamo esplorato nuove strade in termini di innovazione e automazione tecnologica, trasformando in opportunità la necessità di rispettare il distanziamento sociale e di tutelare la salute dei lavoratori».

La valigetta per la manutenzione con la realtà aumentata

È da queste idee abbinate a un costumer service “spinto” che nasce Vision 5.0, una sorta di “Covi bag”: si tratta, in sostanza, di una valigetta-pc, da collegare alla presa diagnostica del macchinario che presenta dei problemi o che va monitorato. Controlli, interventi, eventuali riparazioni e manutenzione vengono quindi effettuate da remoto, dalla sede della Covi. L’azienda ha così trasformato l’assistenza tecnica: Vision 5.0 prevede infatti l’impiego di visori per la realtà aumentata, un Gps per la geolocalizzazione, software elaborato internamente, router wi-fi, gps, presa usb, cavi.

«Il sistema che abbiamo sviluppato – spiega Casanova – permette di garantire ai nostri clienti vantaggi in efficienza riducendo i tempi morti, i costi di fermo macchina e di trasferta, aumentando il livello di sicurezza sul lavoro».

La fotocamera frontale stereo con sensore di profondità integrato, le funzionalità 3D e l’alta risoluzione di immagine consentono all’operatore di condividere ciò che vede e sente - video, audio, messaggi, istruzioni, schemi, documentazione tecnica - con i tecnici, «anche a migliaia di chilometri di distanza, i quali sono in grado di “leggere” la macchina e di risolvere il problema» afferma il presidente di Covi.

Con la nuova sede la capacità produttiva crescerà del 260%

Nella sede di Peraga di Vigonza, nel Padovano, è stata allestita una regìa di controllo dotata di monitor e computer dove un team di tecnici può garantire l’assistenza a tutti i clienti. La valigetta è stata già consegnata ad alcune aziende italiane ed estere per una sperimentazione sul campo.

Intanto, dopo l’inaugurazione nel 2018 dello stabilimento produttivo di Reggio Emilia, nel cuore del distretto della componentistica automotive e della Motor Valley emiliana, Covi ha pronta la nuova sede direzionale, a Saletto di Vigodarzere: 5.700 metri quadri per aumentare la capacità produttiva del gruppo del 260% e nel quale troveranno lavoro in prospettiva 10 nuovi dipendenti (in tutto saranno 50).

Nella Murgia roccia e pietra segnano il paesaggio e la gente

Roccia e pietra segnano il paesaggio, ma anche la storia e l’anima della gente della Murgia. Un territorio a cavallo tra Puglia e Basilicata, la cui gente ha imparato a lottare e a difendersi. Dal passato al presente lo spirito è rimasto: è quello che ingegna e aiuta ad affrontare le crisi cicliche (si pensi solo alle vicende del mobile-imbottito con la questione Natuzzi) e a preparare le risalite.

Qui, anche l’agroalimentare e le colture tipiche sposano l’innovazione e la tecnologia. Basti dire che il cece nero della Murgia carsica è diventato un legume spaziale. Nella missione che ha visto protagonista anche Samantha Cristoforetti, il cece nero – di cui se ne producono appena 50 quintali l’anno – è stato selezionato con altri tre prodotti per la preparazione della zuppa liofilizzata destinata agli astronauti.

Coltivazioni tradizionali per nuovi impieghi agroalimentari da parte di Terre di Altamura

Nuovi consumi e nuovi mercati

È una storia di innovazione anche quella che arriva dal comparto agroalimentare nel cuore della Murgia pugliese. In quest’area che va dalla provincia di Bari alla Basilicata prodotti alimentari di grande tradizione hanno “cambiato pelle”: lenticchie e ceci di Altamura vengono ora trasformati in snack, legando creatività, innovazione e storia per incrociare nuovi consumatori e nuovi mercati.

La Murgia è la terra del pane di Altamura Dop (Denominazione di origine protetta), delle lenticchie Igp (Indicazione geografica protetta), dei ceci bianchi e neri, delle fave spezzate e delle cicerchie. L'idea degli snack è dell’azienda Terre di Altamura ed è sviluppata in cobranding con Cerealitalia. Terre di Altamura raccoglie il prodotto che arriva da circa 3mila ettari coltivati a lenticchie e altrettanti a ceci. La catena parte dalle aziende produttrici e conferitrici, distribuite in 18 comuni tra Puglia e Basilicata. Le aziende effettuano una prima lavorazione mentre Terre di Altamura si occupa del completamento e del confezionamento. Cerealitalia, invece, è una Spa che produce cereali per prima colazione, cioccolato e snack con marchio proprio, per le private label e altri gruppi. Con 100 dipendenti e due stabilimenti (a Corato nel Barese e a Frigento, in provincia di Avellino), Cerealitalia è presente in 33 Paesi.

«Gli snack a base di lenticchie di Altamura e di ceci della Murgia nascono come intuizione due anni fa ma l’abbiamo sviluppata da uno - spiega Nicola Colonna, presidente di Terre di Altamura -. Li produciamo per la grande distribuzione organizzata e stanno avendo successo. Siamo attualmente su 100mila pezzi». «Non abbiamo ancora una copertura ampia di Gdo, ma da quest’anno - aggiunge Colonna - contiamo in un incremento distributivo con nuovi accordi commerciali che porteranno a un ampliamento della rete. In previsione c’è anche l’estero».

Il cibo made in Italy alla conquista dell'e-commerce

La domanda di legumi è cresciuta dell’80%

«L'idea che ci ha portato ad utilizzare i legumi gira attorno ad un nuovo formato di snack più vicino alla dieta mediterranea - aggiunge Colonna -, che impiega solo riso e legumi. Un prodotto sano pensato per chi fa sport o è attento a una alimentazione leggera, ma anche per avvicinare i bambini al consumo dei legumi in modo alternativo».

Legumi e farina di legumi restano però l'attività principale di Terre di Altamura. «Tra mille difficoltà sia organizzative che logistiche – spiega ancora Nicola Colonna –, siamo comunque riusciti a rifornire i nostri clienti e la domanda dei legumi nelle settimane del lockdown ha segnato un più 80%. Un buon incremento».

Riproduzione riservata ©

loading...

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti