Centrodestra, Salvini rilancia la federazione ma Meloni lo stoppa subito
Il leader leghista ci riprova, dopo un tentativo fatto l’estate scorsa e non andato a buon fine. Una mossa per uscire dall’angolo dopo la rielezione di Mattarella
di Barbara Fiammeri
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Matteo Salvini cerca di uscire dall’angolo. Oggi il leader della Lega ribadirà al Consiglio federale la sua proposta per una federazione del centrodestra con gli alleati di governo, sul modello dei Repubblicani americani, che ha presentato ieri dalle colonne de Il Giornale e di cui ha (ri)parlato ieri sera con Silvio Berlusconi appena rientrato ad Arcore dopo alcuni giorni di «accertamenti» al San Raffaele.
Non proprio una novità quella del leghista. L’estate scorsa, al termine dell’incontro sempre con Berlusconi - a Villa Certosa, in Sardegna, e non ad Arcore - Salvini aveva diramato una nota assieme al Cavaliere in cui si tracciavano le tappe per dar vita a «una federazione tra le forze politiche di centrodestra che sostengono il governo», di cui nel frattempo si sono perse le tracce. Ora il segretario del Carroccio ci riprova. Un po’ per scrollarsi di dosso le critiche sulla gestione della partita del Quirinale e un po’ per dare un avvertimento a Forza Italia e anche a Giorgia Meloni.
La rabbia di Fratelli d’Italia dopo il voto per il Quirinale
La leader di Fratelli d’Italia non le ha certo mandate a dire all’alleato. Quell’accusa al suo omologo leghista di essersi dileguato nel momento decisivo («ha detto che saliva ma non l’ho più visto»), senza metterla a conoscenza della virata pro Mattarella Bis, ha lasciato un segno profondo: «Stavolta non farò buon viso a cattivo gioco», ha detto ieri minacciosa.
Ancora più tranchant è stato il suo numero due, Ignazio La Russa: «Fossi al posto di Salvini mi prenderei una bella pausa di riflessione. Se qualcuno ha delle ferite se le lecchi...». È chiaro che questo patto federativo proposto da Salvini serve anzitutto a contenere l’ascesa della presidente di Fdi che dall’opposizione si prepara a picchiare duro sul Governo di cui Lega e Forza Italia sono tra i principali azionisti.
La prudenza di Forza Italia
Gli azzurri, per il momento, manifestano prudenza. La capogruppo Anna Maria Bernini definisce la proposta di federazione «lungimirante» ma richiede «un percorso non improvvisato e fondato sulla piena adesione ai valori del popolarismo». Il voto a favore della neo presidente del Parlamento di Strasburgo,Roberta Metsola, esponente del Ppe e sostenuta oltre che da Fi anche dagli altri due partiti della destra, è un segnale positivo - come ha rimarcato il coordinatore azzurro Antonio Tajani - ma non sufficiente. Difficile riuscire a federarsi con un partito che continua a essere iscritto al gruppo di Identità e democrazia assieme ai tedeschi di Alternative für Deutschland e a Marine Le Pen.
Ma anche sul fronte interno a prevalere negli ultimi tempi sono state soprattutto le divisioni. Basti pensare che i tre partiti del centrodestra in questa legislatura si sono ritrovati sullo stesso fronte solo per un anno, in occasione del Conte II. Ma soprattutto quella che è mancata è una strategia. Da quando Fdi ha cominciato a crescere ad essere protagonista è stata la guerra sulla leadership e non invece la proposta politica da presentare agli elettori. Basti pensare a come sono stati individuati i candidati sindaci di Milano e Roma, la cui sconfitta era scontata proprio perché catapultati in una partita in cui erano solo delle pedine. E gli elettori se ne sono accorti.
I movimenti al centro
Certo quanto accaduto alla Camera sabato non aiuta. L’aria è pesante. Tutti accusano tutti. Nel mirino della Lega ieri è finito il presidente della Liguria Giovanni Toti, che è anche uno dei leader centristi di Coraggio Italia. Il Carroccio minaccia la crisi nella Regione dopo che Toti ha preso le distanze non nascondendo le perplessità dei centristi e non solo sulla candidatura della presidente del Senato Elisabetta Casellati. Ma anche qui sullo sfondo c’è altro. L’ipotesi della riunificazione della galassia centrista è forte, tanto più se dovesse arrivare una legge elettorale proporzionale.
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