Cercare il senso nel rumore e trovarlo nel silenzio
Un confronto tra fedi diverse ieri a Milano. Nel cortile dei gentili del cardinale Gianfranco Rravasi
di Paolo Bricco
3' di lettura
«Nell’Apocalisse si legge: quando l’Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio nel cielo per circa mezz’ora». Il cardinale Gianfranco Ravasi, fondatore del Cortile dei Gentili, lascia per un istante ammutolita – ed emozionata – la platea del Centro congressi della Fondazione Cariplo di Milano. Ma, nell’incontro su “La voce del silenzio” a cui hanno partecipato ieri anche Filippo Scianna (presidente dell’Unione Buddhista Italiana) e Marcello Ghilardi (ricercatore di Estetica all’Università di Padova), subito riprende il filo del ragionamento in maniera nitida e razionale, cercando il coinvolgimento emotivo degli altri, ma allo stesso tempo preferendo la costruzione di un discorso spirituale
e culturale, secondo la cifra che da sempre segna la sua lezione
e il suo magistero.
«Nella nostra civiltà occidentale il primato è assegnato alla parola. Ma la parola non è in contrasto con il silenzio. Il silenzio e la parola sono l’uno il contrappunto dell’altra», dice il cardinale. Nella cultura ebraica il silenzio dell’ascolto è sinonimo di credere, perché «Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è l’unico Signore». Ma, dalla nostra radice ebraica, viene emulsionata la sostanza del verbo e della sua mancanza, che però non è vuoto nichilista. Anzi esiste, nello sforzo dell’umano, una compenetrazione fra la parola e la assenza della parola: «Aveva ragione Brahms. Comporre non è difficile. Difficile è eliminare le note superflue».
Ravasi, con empatia, ricorda la fatica quasi fisica del poeta Mario Luzi alle prese con i suoi componimenti. Una lotta stordente con se stesso per togliere, togliere, togliere parole. Ieri, alla Fondazione Cariplo, il silenzio ha preso forma e voce nei suoi tanti significati, in un incontro insieme intellettuale e di racconto delle esperienze coordinato da Fabio Colagrande, giornalista di Radio Vaticana e coordinatore della rete sulla via del silenzio, «un gruppo di realtà spontanee che hanno la vocazione della meditazione e della preghiera silenziosa». Il silenzio è vitalmente ambiguo: «Esiste un silenzio bianco, denso di significati e di sottintesi. Ed esiste un silenzio nero, fatto di assenza di suoni e di espressività del dolore. È il silenzio di Giobbe», dice Ravasi. Il silenzio diventa un elemento fondante nella sua coerenza con il tutto. «Non funziona l’idolatria dell’assenza del suono. Funziona, invece, il silenzio che è il presupposto della parola. Perché, secondo il vangelo di Giovanni, chiunque è dalla verità ascolta la mia voce. La voce è al di là delle parole. Perché la parola di Dio è una esistenza incarnata», nota Ghilardi. La ricerca di senso, che oscilla fra il verbo e il silenzio, cercando una loro ricomposizione instabile ma non fragile né transeunte, non caratterizza soltanto la cultura cristiana occidentale, ma segna anche la matrice asiatica buddhista. «Per il buddhismo – ricorda Scianna – il silenzio non è mera assenza di parole, ma è esperienza di connessione con il tutto esistente. Oggi la società è sommersa dal rumore. Vale l’idea del filosofo Karl Popper secondo cui, oltre un certo livello di input sensoriali, tutti noi perdiamo le nostre abilità cognitive e perdiamo il nostro senso etico». Un punto di vista insieme ermeneutico, spirituale e esistenziale condiviso da Ravasi. Il quale sottolinea come il nostro mondo – umano, troppo umano – rischia di affogare nel rumore e nei suoni. «Un intellettuale laico ma non laicista come Umberto Eco, che ha studiato la parola per tutta la vita, sosteneva che Dio non potesse trovare nel rumore e nella società dei media, ma che Dio si potesse trovare soltanto nel silenzio», sono le parole di Ravasi a suggello dell’incontro sul silenzio e sulla sua voce.
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