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Cereali, ecco come cambiano le rotte mondiali. Quotazioni in calo del 40%

La ripresa dei raccolti nazionali, nonostante l’alluvione in Romagna, riduce solo di poco il deficit strutturale rispetto al fabbisogno del 65% per il grano tenero e del 32% per il duro

di Alessio Romeo

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3' di lettura

Cambiano le rotte globali dell’import di cereali ma resta il deficit strutturale dell’Italia, nonostante il consistente recupero produttivo atteso quest’anno. «Il porto di Ravenna, principale punto di arrivo, per fortuna non è stato danneggiato dall’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna, a differenza delle campagne dove è stata compromessa parte della produzione regionale, ma questo non avrà nessun impatto sul regolare approvvigionamento del mercato», dice Carlo Licciardi, dal 2016 presidente di Anacer, l’associazione nazionale cerealisti che rappresenta i trader del settore con 20 milioni di tonnellate importate ogni anno e un giro d’affari di 9 miliardi.

Licciardi è direttore generale Europa, Medio Oriente e Nord Africa di Cofco International, multinazionale che movimenta 133 milioni di tonnellate di cereali con 48 miliardi di dollari ricavi annui, e tra i maggiori conoscitori del mercato delle commodity.

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A essere cambiate, spiega, sono le rotte dei cereali nonostante il recente e difficoltoso rinnovo dell’accordo per l’export ucraino dal Mar Nero. «L'accordo sta funzionando abbastanza bene, il transito delle navi procede regolarmente anche se i quantitativi esportati via mare sono inferiori a quelli ai quali eravamo abituati. Anche l'Ucraina nel frattempo ha trovato alternative alla logistica tradizionale: una tramite il porto di Costanza; altre via terra con i treni verso il Baltico e i porti del Nord Europa, cambiando così le rotte storiche verso l’Europa occidentale ma con costi aggiuntivi rispetto alle spedizioni tradizionali dal Mar Nero».

Una dinamica sulla quale ha influito anche il blocco dell’import deciso dai cinque Paesi Ue limitrofi (Polonia, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria e Romania), oggetto di forti contestazioni a Bruxelles che ha portato al compromesso per consentire il “solo transito” verso altre destinazioni. «Una soluzione della quale sta beneficiando l’Italia – spiega il presidente Anacer – con più grano e mais che arriva via treno e camion sul mercato nazionale».

Il crollo dei prezzi, dice Licciardi, è dovuto ai fondamentali del mercato con la ripresa produttiva dopo la siccità dello scorso anno. «Il mercato ritrova sempre il suo equilibrio: la dimostrazione sono i prezzi in calo per tutte le principali commodity dopo i massimi di inizio anno. Negli ultimi due mesi grano tenero e del mais sono crollati del 40%, anche in virtù dell’inflazione che ha fatto calare i consumi. Il mercato ha fatto il suo lavoro».

Inoltre, aggiunge «i raccolti stanno andando bene in tutto il mondo e in molti paesi gli agricoltori, che non avevano venduto con i prezzi ai massimi dopo lo scoppio della guerra, ora scontano la ripartenza dell'export dall'Ucraina e si ritrovano con i magazzini già pieni».

Anche il blocco dell’import deciso dai cinque paesi dell’Est Europa «pur se giustificato – dice ancora Licciardi – alla fine si è rivelato un boomerang di cui invece ha beneficiato l’industria di trasformazione italiana. Oggi in Romania, Ungheria, ma anche in Serbia si attende un ottimo raccolto, il crollo dei prezzi non era dovuto solo agli arrivi dall’Ucraina. L’iniziativa sul Mar Nero e i corridoi di solidarietà europei hanno funzionato, i prezzi hanno perso oltre il 40% anche se restano su livelli comunque buoni in valori assoluti. Il grano tenero, che fino a pochi mesi fa era trattato a oltre 400 euro a tonnellata franco arrivo, è sceso a 220, quasi la metà. Il mais, che era arrivato quest’anno su alcune piazze a superare il prezzo del grano tenero, è sceso a 240 euro da 380 euro».

Anche il mercato del grano duro (una “nicchia” da 40 milioni di tonnellate rispetto a quasi 800 del frumento tenero) ha ritrovato un equilibrio dopo la carenza di materia prima della scorsa campagna, così come quello dei noli marittimi e assicurativo. Ci sono più navi disponibili rispetto a un anno fa a ritirare materie prime di cui l’industria alimentare italiana continua ad avere strutturalmente bisogno.

I dati relativi ai primi otto mesi della campagna 2022-23 indicano un aumento delle importazioni del 20% per il grano duro, del 38% per il mais e una diminuzione del 10% circa per il grano tenero. La ripresa produttiva attesa quest’anno per i raccolti nazionali (+10% per il grano tenero e +5% il duro) può solo intaccare un deficit rispetto al fabbisogno pari al 65% per il grano tenero, al 50% per il mais e al 32% per il grano duro.

Per rispondere alle criticità della logistica nazionale, conclude Licciardi «va monitorato costantemente l'accesso dei treni dal Nord Est europeo. Abbiamo già un notevole afflusso di carri ferroviari di cereali da Ungheria, Serbia, Croazia. A questi dobbiamo aggiungere quelli dell'Ucraina. L'importante è che non si crei un collo di bottiglia che paralizzerebbe la logistica».

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