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Cereali made in Italy, il rialzo dei listini non basta a coprire gli extra costi

Riduzione dei raccolti superiore al 10% per il grano duro fino al -30-40% di mais e riso

di Alessio Romeo

(RobertoM - stock.adobe.com)

2' di lettura

Se alcuni settori, come il vino, sono stati graziati dalle piogge tardive e dalla previdenza dei produttori con le potature anticipate, la campagna cerealicola nazionale sconta quest’anno, letteralmente, un bollettino di guerra. I rincari e la carenza di fertilizzanti – di cui la Russia è il primo produttore ed esportatore mondiale – stanno infatti pesando sulle scelte colturali forse più del cambiamento climatico. Con il paradosso che il vuoto d’offerta di grano tenero e mais aperto sui mercati globali dalla crisi ucraina, nonostante lo sblocco dei porti del Mar Nero e la partenza delle prime navi garantite dall’accordo con la Turchia sotto l’egida Onu, ha già esaurito l’effetto positivo sui prezzi con ribassi incontrastati alla riapertura delle Borse merci nazionali dopo la pausa estiva.

Ora la nuova minaccia russa di un blocco dell’export di grano ha riacceso i listini, ma i rincari non bastano a coprire gli extra-costi per i produttori che devono fari i conti con concimi e gasolio più che raddoppiati. Caro costi e clima impazzito hanno così tagliato drasticamente la produzione nazionale di tutti i principali cereali. Per il mais, di cui era facile vedere alla fine di quest’estate intere distese al Centro Nord devastate dalla siccità, il calo stimato supera abbondantemente il 40% e si aggiunge a una progressiva riduzione dei raccolti nazionali che ha portato l’Italia, nel giro di dieci anni, dalla piena autosufficienza e un deficit rispetto al fabbisogno superiore al 50 per cento.

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Per il frumento le ultime indicazioni a trebbiatura ultimata – confermate anche dall’industria molitoria nazionale già in grandissima difficoltà per la crisi energetica – certificano una riduzione dei raccolti superiore al 10% per il grano duro, materia prima simbolo dell’agroalimentare made in Italy utilizzata per le semole da cui si produce la pasta, a 3,5 milioni di tonnellate rispetto a un fabbisogno dei molini stimato in 5,5 milioni di tonnellate, e di oltre il 15% per il frumento tenero, ai minimi storici con 2,5 milioni di tonnellate (e un fabbisogno nazionale di 5,5), con deficit che si aggirano quindi rispettivamente intorno al 40 e 60 per cento.

La siccità ha flagellato poi le colture più bisognose di acqua come il riso. Le risaie italiane hanno perso quasi 9mila ettari, scesi dai 227mila del 2021 poco sopra i 218mila stimati quest'anno dall'Ente nazionale risi sulla base delle denunce trasmesse dai produttori. Una flessione degli investimenti del 4% a cui corrisponde però un taglio della produzione stimato dalla Coldiretti in oltre il 30%.

La carenza di mais, infine, rischia di aggravare ulteriormente la crisi degli allevamenti dopo l'esclusione delle semine sui terreni a riposo, che il presidente di Confagricoltura, Massimiliano Giansanti, definisce «assolutamente incomprensibile: mais e soia sono destinati anche all’alimentazione umana e, nel caso della soia, l’Europa è largamente dipendente dalle importazioni. Il fatto è che all'interno della Commissione prevale ormai un atteggiamento negativo ingiustificato nei confronti degli allevamenti».

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