Cernobbio, aspettando i «barbari»: ma 5 Stelle e Lega scendono a patti con il Sistema (e la Realtà)
di Paolo Bricco
4' di lettura
“Che aspettiamo, raccolti nella piazza? Oggi arrivano i barbari”. E, invece, come nella poesia di Kavafis, a Cernobbio i barbari non sono arrivati. Effetto diretto – temporaneo o di lungo periodo? – dei riposizionamenti istituzionali della Lega e dei Cinque Stelle, formulati attraverso due interviste al Sole-24 Ore dai leader Matteo Salvini e Luigi Di Maio, la prima di mercoledì 5 settembre e la seconda di sabato 8 settembre. Una volta c'erano barbari e barbari. C'erano i barbari veri, i Cinque Stelle: non ancora – almeno apparentemente - romanizzati, pieni di furore iconoclasta, abitati da desideri cupi verso il “sistema” e, finalmente al governo, intenzionati a destrutturare gli equilibri del potere italiano.
Nella mollezza delle ore di fine estate del workshop Ambrosetti, quest'anno – il primo anno per loro di potere vero - mancano. O, almeno, mancano nei loro pesi massimi, quelli che dispongono – nelle loro armerie - delle alabarde e delle asce. Né il capo del partito, il vicepremier e ministro del Lavoro Luigi Di Maio, né il ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli sono presenti. Anche se, quelle asce e quelle alabarde, a Cernobbio non le avrebbero evidentemente portate. Un Di Maio istituzionale e politicamente corretto ha dichiarato al Sole 24 Ore: “Confermeremo Industria 4.0 e il taglio del cuneo si farà, è parte della riforma fiscale. Ora che non siamo più antagonisti, abbiamo lavorato dalla stessa parte del tavolo anche per cercare insieme soluzioni concrete alla massa di scadenze, reiterazioni e adempimenti. Per le agevolazioni favoriremo in particolare l'accesso delle piccole imprese”. Ora che non siamo più antagonisti: dunque, la componente barbarica viene – nelle parole e nelle intenzioni di Di Maio – edulcorata e scolorata.
Poi, ci sono i barbari un tempo padani, ora italiani, domani chissà e, soprattutto, da lungo tempo profondamente e intimamente integrati nel “sistema”: i leghisti. Che, invece, a Cernobbio sono rappresentati ai massimi livelli: ossia, nell'ultimo partito leninista, da Matteo Salvini, vicepremier e ministro degli Interni. Più il ministro dell'Istruzione in quota Carroccio, Marco Bussetti. La presenza del “Capitano” - come viene chiamato dalla base il capo del partito, l'unico che è riuscito a esiliare nei cuori e nelle menti dei leghisti il “Capo”, ossia il fondatore Umberto Bossi – appare coerente con il percorso avviato proprio da quest'ultimo e realizzato poi dai suoi principali allievi, dall'ormai fuori gioco Roberto Maroni al perdurante Giancarlo Giorgetti, già ministro della Commissione Bilancio e oggi capomacchina del governo come sottosegretario alla presidenza del Consiglio, fino al presidente della Regione Veneto Luca Zaia e, appunto, a Matteo Salvini: 25 anni di potere condiviso e praticato – soprattutto al Nord – con il mondo berlusconiano di Forza Italia, con l'universo delle fondazioni ex bancarie e con le numerose municipalizzate, consigli di amministrazione e influenza vera sui cosiddetti territori.
Una pratica e un esercizio del potere e della responsabilità che, in qualche maniera, sono anche alla base della svolta – annunciata, vedremo nelle prossime settimane quanto effettiva – di Matteo Salvini, che sul Sole 24 Ore di mercoledì 5 settembre ha dichiarato di accettare i paletti del rigore europeo. Il vero elemento barbarico – nella prassi e nella pratica del potere della Lega – è rappresentato dalle unghiate contro l'ordine giudiziario, esemplificate dal richiamo al popolo e alla legittimità che da esso deriva formulato da Salvini in occasione dell'avviso di garanzia per la vicenda Diciotti e della conferma del sequestro dei 49 milioni di euro che sta mettendo a rischio l'esistenza stessa del partito nella attuale versione.
Ma il rapporto della Lega con l'establishment economico italiano ha, da molto tempo, perso ogni fremito barbarico. Nel passeggio in riva al lago, nella lettura distratta dei giornali accumulati sui tavolini del Grand Hotel Villa d'Este, fra un caffè e un aperitivo, gli industriali e i finanzieri, i lobbysti e gli accademici – tutti rigorosamente mainstream, in una Cernobbio che fin dagli anni Settanta ha contribuito a definire che cosa sia in Italia il mainstream – non rischiano dunque di imbattersi nei barbari veri. Peraltro, a Cernobbio, i Cinque Stelle compaiono nella loro versione più istituzionale e razionalista con Elisabetta Trenta, ministro della Difesa espressione del mondo dei Cinque Stelle con una cifra più tecnica, e il sottosegretario agli Affari regionali Stefano Buffagni, uomo di raccordo con il mondo delle fondazioni ex bancarie, commercialista di professione con una impostazione – anche nella vita pubblica - pragmatica.
Ancora con Kavafis, potremmo in questi giorni dire: “S'è fatta notte, e i barbari non sono più venuti. Taluni sono giunti dai confini, han detto che di barbari non ce ne sono più”. Almeno in questa fase politica va così. Vedremo che cosa capiterà nei prossimi mesi. Una cosa, però, è sicura: sono lontani – per i rappresentanti del “sistema” – i brividi provati nel 2013, quando Gianroberto Casaleggio, fondatore dei Cinque Stelle e della loro anima più radicale e visionariamente destrutturante, si sedette con loro all'Ambrosetti.
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