Interventi

Ceta, gli imprenditori lo hanno già promosso

di Ivan Scalfarotto

(Chromorange Photostock / AGF)

5' di lettura

Caro Direttore,
la missione istituzionale che ho svolto in Canada nei giorni scorsi, mi fornisce l'occasione per fare il punto sugli effetti del CETA, a oltre due anni dall'avvio dell'attuazione provvisoria.
Innanzitutto non posso che rallegrarmi di come i numeri dell'interscambio commerciale, così positivi per l'Italia, abbiano progressivamente smussato le posizioni di quelli che fino al settembre del 2019 presentavano il CETA come una minaccia per la nostra economia, per la nostra salute e per l'ambiente lasciando finalmente spazio a un dibattito più oggettivo e pragmatico rispetto al frastuono ideologico di un non troppo lontano passato.

Finalmente il CETA sembra uscire da quella narrativa poco razionale e, se mi consente, un po' complottistica in cui era rimasto invischiato per essere stato associato al negoziato TTIP con gli Stati Uniti. Oggi questo accordo inizia finalmente ad essere osservato senza pregiudizi, così come avviene per tutti gli altri accordi di libero scambio come ad esempio l'accordo con la Corea del Sud o l'EPA con il Giappone. Si tratta di intese sostanzialmente analoghe al CETA, talvolta (vedi Giappone) negoziate dalla stessa Commissione con il medesimo mandato, portatrici di benefici indiscutibili per il Made in Italy, esattamente come nel caso dell'accordo con il Canada, ma che non hanno provocato neppure una frazione delle polemiche politiche che ha suscitato il CETA.

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Anche grazie a statistiche distribuite su un arco temporale ormai superiore ai due anni resta ormai poco spazio per i dubbi: esportazioni aumentate di oltre 560 milioni, aumento del saldo positivo della nostra bilancia commerciale di 470 milioni, benefici soprattutto per le PMI grazie agli standard unificati etc. Gli esponenti dell'ormai sempre più scarno partito anti-CETA hanno infatti finito per arrendersi all'evidenza, nel riconoscere a denti più o meno stretti i vantaggi oggettivi per le nostre imprese, tentano (atteggiamento umanamente comprensibile) di tenere il punto continuando a sollevare qualche circoscritta e discutibile obiezione. Li ringrazio per fornirmi l'occasione di esaminarle nel dettaglio qui di seguito e anche per il salto di qualità nel dibattito che deriva da un confronto più costruttivo rispetto al passato.

Mi è capitato a questo proposito di sentire parlare di tutela insufficiente delle indicazioni geografiche di origine. Vorrei solo ricordare che prima dell'entrata in vigore del CETA il mercato canadese per i nostri prodotti era in una situazione sostanziale di far west. Con una serie di paradossi per cui ad esempio il Prosciutto di Parma non poteva neanche essere venduto come Parma in quanto “Parma” era un marchio registrato. Oggi sono 172 le denominazioni DOP e IGP europee che rientrano nell'accordo e che si riferiscono a 14 Paesi Membri. Per l'Italia sono coinvolte oltre 40 denominazioni DOP e IGP che rappresentano oltre il 95% dell'export di prodotti DOP e IGP in Canada. Prima del CETA non era prevista alcuna tutela per nessuna di queste IIGG ed è utile ricordare che si tratta di una lista in continua crescita con ulteriori 5 IIGG italiane aggiunte tra il 2018 e il 2019. Il tema delle IIGG è inoltre oggetto di discussione da parte della Commissione UE con partner commerciali talvolta contrari totalmente alla loro protezione (ad esempio gli USA) ed avere in vigore proprio nell'area del Nord America un trattato con una tutela così ampia delle indicazioni geografiche, rappresenta un evidente vantaggio politico per l'UE nella prospettiva di negoziati futuri con Paesi terzi.

Un'altra obiezione sollevata è relativa al presunto meccanismo arbitrale internazionale di risoluzione delle controversie tra Stati Parte e investitori stranieri (ISDS). Giova a questo proposito ricordare che la Commissione europea ha in extremis chiesto e ottenuto dal Canada per il CETA l'inserimento di un nuovo sistema di International Court System (ICS) basato su un tribunale internazionale a doppia istanza (è prevista la possibilità di ricorrere in appello) composto da giudici indipendenti designati dall'UE e dal Canada. Come mi hanno confermato tutte le imprese italiane incontrate in Canada si tratta innanzitutto di un sistema residuale (i contratti prevedono già clausole arbitrali) e inoltre, una volta in vigore dopo la ratifica definitiva del CETA, questo sistema ICS sarà in grado di tutelare un nostro imprenditore certamente meglio di quanto non potrebbe fare ad esempio una corte canadese (magari elettiva) in una eventuale controversia con una controparte locale.

Tra i rilievi emersi sul CETA, un posto speciale merita certamente quello in base al quale il trend di esportazioni era comunque in crescita anche prima dell'attuazione provvisoria. È un'osservazione molto curiosa che contraddice qualsiasi nozione basilare di microeconomia visto che implicherebbe l'assenza di qualsivoglia effetto sulle vendite a seguito di una diminuzione del prezzo con una curva della domanda incredibilmente non inclinata!
Nemmeno la minacciata invasione di merci canadesi che avrebbero inondato i nostri mercati si è mai verificata. Le nostre importazioni sono leggermente calate nel 2018 per poi aumentare di 127 milioni nel 2019 (aumento compensato abbondantemente dalle esportazioni con un saldo positivo cresciuto di 251 milioni). E se anche le importazioni dovessero aumentare in futuro non sarebbe necessariamente una cattiva notizia visto che il nostro è un Paese manifatturiero che ha crescente bisogno di prodotti di base e materie prime da trasformare e rivendere sui mercati internazionali.

Lungi da me assumere posizioni ideologiche di qualsiasi tipo e scevro da qualsiasi velleità accademica, mi limito a confermare il mio giudizio nel complesso estremamente positivo sul CETA non solo sulla base dei dati precedentemente citati ma soprattutto in base alla voce chiara e forte dei nostri imprenditori che probabilmente hanno qualche titolo in più per parlare rispetto a tanti economisti, giornalisti o anche noi politici. Credo che il favore espresso pubblicamente nei confronti del CETA da sostanzialmente tutte le associazioni imprenditoriali di tutti i settori produttivi, così come la soddisfazione che mi è stata espressa personalmente da tutte le imprese italiane incontrate nel corso della mia missione in Canada, senza alcuna eccezione e senza alcuna riserva, non possa che confermare i benefici che accordi di questo tipo possono portare ad un Paese come l'Italia. Un Paese importatore di materie prime ed esportatore di manifattura (7° esportatore al mondo e 5° per surplus commerciale) non può che legare il proprio interesse nazionale ad un contesto di mercati aperti e di libero scambio. Chi non capisce questo punto o è in malafede o semplicemente male informato. L'evoluzione del dibattito a cui stiamo assistendo tuttavia e i giudizi sostanzialmente positivi sul CETA da parte di chi fino a ieri lo dipingeva come un accordo scellerato, mi rincuorano perché, anche in questo tempo difficile, mi danno la speranza che la razionalità e le informazioni corrette possano prima o poi prevalere sulla ideologia e sulla disinformazione.

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