Chanel e Cucinelli in Cariaggi, alleati per sostenere l’artigianalità
Chanel ha acquisito il 24,5% di Cariaggi da Brunello Cucinelli, che nel 2022 aveva rilevato il 43% dell’azienda marchigiana e mantiene una quota identica a quella della maison francese, mentre il 51% resta alla famiglia fondatrice
di Giulia Crivelli
4' di lettura
Affinità elettive: due parole rese celebri dall’omonimo romanzo di Goethe, che le prese in prestito dal gergo scientifico (chimico, in particolare), ma diede loro un nuovo, affascinante, significato. Parole che da allora (il libro uscì in Germania nel 1809) indicano le interazioni virtuose e forse inaspettate tra persone oppure mondi, che l’uso a volte frettoloso rischia però di banalizzare, un po’ come succede a un’altra parola vittima di recenti abusi, resilienza. Eppure non esiste immagine migliore per l’accordo che vede protagonisti Chanel, Brunello Cucinelli e il Lanificio Cariaggi. Tre aziende diverse per dimensioni, unite però dalla convinzione che saranno le tradizioni artigiane – centenarie e in alcuni casi millenarie – a garantire la sostenibilità economica, ma anche ambientale, sociale e culturale del lusso come lo conosciamo oggi.
La maison francese ha reso noti ieri i risultati del 2022, con crescite a doppia cifra di tutti gli indicatori economici, un’affinità con Cucinelli e Cariaggi che non ha neppure bisogno di definirsi elettiva. È quanto di più concreto e misurabile ci sia e resta un’ottima base per capire l’importanza dell’accordo a tre. Nel 2022 Brunello Cucinelli aveva acquisito il 43% di Cariaggi, azienda marchigiana famosa per la produzione di filati pregiati, di cashmere e non solo. Un’azienda che ha chiuso il 2022 con un fatturato di 143 milioni (+26% sul 2021), continuando a proiettarsi nel futuro, investendo anche in una “sana” transizione digitale, che integri le capacità artigianali con la ricerca e la tecnologia. Martedì scorso l’annuncio di un ulteriore cambiamento nell’assetto proprietario: Chanel ha acquisito il 24,5% di Cariaggi e a vendere è stato in particolare Cucinelli, che mantiene una quota identica a quella della maison francese, mentre il 51% resta alla famiglia Cariaggi.
«Abbiamo centinaia di clienti nel mondo, che negli anni hanno continuato a sceglierci per la qualità dei filati e perché su questa fiducia sono nate partnership commerciali solide e leali – spiega Pierluigi Cariaggi, ceo e presidente del lanificio –. Ma avere, oggi, come soci principali una delle maison del lusso più grandi e rispettate al mondo e un’azienda che in poco più di 40 anni è diventata un simbolo di stile, eccellenza e qualità italiana nel mondo... credo che sia una delle più grandi soddisfazioni della mia vita imprenditoriale».
Chanel ha una lunga storia di acquisizioni di quote di maggioranza o minoranza di piccole e medie aziende italiane e francesi, fatte per assicurarsi la qualità di materie prime e lavorazioni artigianali ad altissimo valore aggiunto. Investimenti necessari perché Chanel possa continuare a crescere a doppia cifra mantenendo intatto il livello di qualità. «Il 2021 e 2022 sono stati anni di forte ripresa dal periodo difficile del Covid e il 2023 è iniziato altrettanto bene: è giusto assaporare il momento positivo, godersi le soddisfazioni del presente, senza mai smettere però di proiettarsi nel futuro – conferma Bruno Pavlovsky, presidente di Chanel e responsabile di tutta la parte moda della maison –. Ma oggi pensare al futuro non vuol dire solo immaginare che la crescita economica della nostra azienda prosegua, vuol dire abbracciare il cambiamento culturale e sociale che interessa tutti e in particolare i giovani. Vuol dire aiutare questo cambiamento ed essere parte attiva di una visione diversa del lavoro e del rapporto di tutti con il pianeta». Temi da sempre centrali anche per Brunello Cucinelli, diventato un punto di riferimento, quasi un caso di studio, per essere riuscito a creare un marchio di alta gamma senza mai dimenticare il ruolo che un’azienda deve avere nella società. Tornando alla necessità di non banalizzare le parole, si può dire per brevità che sia Chanel sia Cucinelli sono guidati da un’idea di sostenibilità sociale e ambientale, oltre che economica, e che ogni loro mossa conferma la corrispondenza tra parole e fatti.
«In Francia è forse ancora più evidente che in Italia: i giovani non hanno vera conoscenza dei mestieri artigianali e la maggior parte di loro non li vede come uno sbocco professionale né tanto meno di realizzazione personale – sottolinea Pavlovsky –. Ma sono bastate poche parole scambiate con Brunello Cucinelli per capire che la pensiamo esattamente nello stesso modo: dobbiamo far capire ai giovani che devono contemplare i mestieri artigianali tra i loro sogni. Perché garantiscono soddisfazione economica e personale e possono far sentire parte di un grande progetto, quasi una missione: salvare il patrimonio culturale dell’artigianalità».
L’obiezione che si fa spesso a questi ragionamenti è che le persone che lavorano nelle fabbriche – per quanto queste possano essere evolute – siano pagate poco e non abbastanza considerate dal punto di vista dello status sociale. «Lo dico da anni ormai e comincio a pensare che dovremmo persino smettere di usare la parola operaio, in qualsiasi ambito, dalla moda all’edilizia. Troviamone una più evocativa, gentile e affascinante, sono sicuro che le nostre bellissime lingue ci diano questa possibilità – conclude Cucinelli –. Ma soprattutto: alziamo gli stipendi di chi viene a lavorare nella filiera del tessile-moda-accessorio e spieghiamo ai giovani e alle loro famiglie che siamo impegnati a offrire ambienti di lavoro belli e accoglienti e a rendere tutti partecipi del successo che abbiamo sul mercato. Noi in Umbria, Chanel in Francia e nelle tante aziende in cui ha investito in Italia e Cariaggi, nella bellissima terra marchigiana, lo stiamo facendo. Ma occorre che tutti gli altri protagonisti dell’alta gamma condividano questa visione».
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