Chatbot rockstar: siamo tutti artisti con la creatività degli altri
Il possibile accordo tra Google e Universal Music apre nuovi scenari per i brani generati da piattaforme di IA e ispirati ad artisti famosi
di Antonino Caffo
3' di lettura
Musica intelligente o intelligenze musicali. Da qualunque punto di vista si guardi il possibile accordo tra Google e Universal Music, il dato di fatto è che dietro l’angolo si prospetta l’ennesima rivoluzione per tutto il mercato discografico. L’incipit è noto: i due colossi, protagonisti in campi differenti della produzione culturale degli ultimi decenni, sarebbero sul punto di giungere a un compromesso con cui il primo, Google, potrebbe utilizzare in licenza canzoni, testi e voce di artisti della scuderia della seconda. Questa, dal canto suo, si assicurerebbe una fonte di ricavi extra, impensabile qualche anno fa, derivante proprio dalla concessione del diritto d’autore per allenare gli algoritmi di Big G, così che possano imparare dai vari Drake, Ariana Grande e Taylor Swift, a scrivere successi senza tempo.
È l’ascesa incalzante dell’intelligenza artificiale, le cui applicazioni stanno prendendo velocemente il sopravvento un po’ ovunque, richiedendo anche normative ad hoc per affrontare scenari legali finora tralasciati. Che sia etico o meno non sta a noi dirlo, anche perché lo stesso dubbio sarebbe dovuto sorgere ad ascoltare canzoni storiche che si sono liberamente ispirate ad altre. Qualche esempio? Surfin’ U.S.A. dei Beach Boys su Sweet Little Sixteen di Chuck Berry, My Sweet Lord di George Harrison su He’s So Fine delle Chiffons o le hit dei Novanta Bittersweet Symphony dei Verve su The Last Time dei Rolling Stones in versione orchestrale e Don’t Look Back in Anger degli Oasis su Imagine di John Lennon.
Come funzionano i generatori di musica IA
La maggior parte dei generatori di musica IA si basa sull’apprendimento approfondito attraverso l’analisi di grandi quantità di dati. Il funzionamento è semplice: si raccolgono migliaia di tracce musicali, si elaborano e si danno in pasto all’intelligenza artificiale. Man mano che vengono inseriti nuovi sample, gli algoritmi imparano a distinguere tra generi diversi, rendendo poi possibile creare musica da indicazioni testuali. Ma per ottenere musica che «suoni» bene, l’algoritmo deve comprendere schemi e relazioni, e prendere decisioni su elementi quali melodia, armonia e ritmo, che siano musicalmente coerenti.
È qui che entra in gioco l’apprendimento automatico. La tecnica consente all’algoritmo di apprendere dai dati che gli sono stati forniti e dar seguito a decisioni basate su tale apprendimento. Un filo logico in processi di per sé illogici: le canzoni epocali sono quelle che si distaccano dal consueto per fondare nuovi standard. Per esempio, l’algoritmo determinerà che certe progressioni di accordi sono comunemente utilizzate in specifici stili musicali o che alcuni schemi ritmici tendono a creare uno stato d’animo particolare. Con questa conoscenza, l’IA può quindi generare musica coerente con quei modelli e relazioni musicali.
Risultati (finora) scadenti
I risultati delle piattaforme già disponibili, come soundraw.io, sono spesso goffi e limitati ma solo perché si tratta di software gratuiti, liberamente disponibili. Altri programmi, tra cui Boomy e Soundful, dimostrano i risultati a cui un’IA correttamente addestrata, può giungere, con la manodopera successiva di un utente in carne e ossa, abile a modificare strumenti e tempo, per affinare il progetto. Ciò a cui mira Google è, come da sua tradizione, un software molto più semplice, una sorta di «punta e clicca», per aprire davvero a tutti le infinite opportunità artistiche dell’IA generativa. Il futuro a cui si guarda è stato ben inteso da Robert Kyncl, amministratore delegato di Warner Music, secondo cui l’avvento di strumenti di generazione artificiale di musica: «Potrebbe aprire a un nuovo livello di interazione tra artisti e pubblico».
Non mi piace il ritornello di un brano? Lo rifaccio da zero, usando l’IA. Non gradisco il solo di chitarra di una hit? Nessun problema: lo scrivo e lo inserisco al posto di quello originale. E il bello è che cantanti e band potrebbero far propri gli «user-IA generated content», riconoscendo una percentuale a chi ha sfruttato l’intelligenza artificiale per costruire futuri successi. E si integriamo questi concetti in altri panorami, come il metaverso, è facile pensare a un intrattenimento realmente aumentato e condiviso, con perimetri ben poco chiari e, per questo, molto intriganti. Così la musica prende nuove forme, si rinnova, cambia per stare al passo con i tempi, conservando però le sue peculiarità emotive e coinvolgenti. Applaudiremo nuove star ricreate in digitale invece di cantanti e band «reali»? Poco importa: i più lungimiranti, da Bowie ai Gorillaz, avevano già capito che alla fine, a contare è il risultato e non solo l’apparire, a costo di lasciarsi dietro le sembianze consolidate e assumere nuovi contorni, assorbiti nell’essenza più totalizzante dell’arte stessa.
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