ChatGPT e le altre fra copyright e implicazioni legali. Cosa dicono gli esperti?
Per le leggi italiane, nello specifico, i sistemi di intelligenza artificiale sono privi di personalità giuridica e in quanto tali non possono essere riconosciuti come inventori
di Gianni Rusconi
2' di lettura
Di ChatGPT si sa ormai (quasi) tutto. Delle implicazioni legali che strumenti come quello di OpenAI possono determinare in fatto di generazione di fake news, lesione della privacy e violazione del diritto d’autore sono a conoscenza, invece, decisamente in pochi. Bene allora provare a fare chiarezza sull'argomento, con l'ausilio degli esperti. A detta di Alessandro Vercellotti, uno dei co-founder di Legal for Digital, realtà specializzata in diritto della Rete, il fenomeno va inquadrato ricordando innanzitutto come ChatGPT abbia «una portata internazionale che rende difficile normarne l'utilizzo in modo universalmente condiviso, in quanto ogni Stato ha un proprio ordinamento giuridico».
La legge italiana
Per le leggi italiane, nello specifico, i sistemi di intelligenza artificiale sono privi di personalità giuridica e in quanto tali non possono essere riconosciuti come inventori, venendo così meno le condizioni affinché venga stabilita la brevettabilità di un'opera. Ed è proprio questo, secondo Vercellotti, il punto chiave: la normativa dovrebbe rispondere a determinate domande, stabilendo a chi va attribuita l'originalità dell'opera prodotta e i correlati diritti morali (la paternità, che è inalienabile) e patrimoniali di sfruttamento economico dell'opera stessa. Il rischio di invasione di campo degli algoritmi rimane dunque esteso e abbraccia la produzione e la diffusione di informazioni false come la classificazione errata di alcuni contenuti ritenuti ingannevoli (pur non essendo tali) o ancora il danneggiamento della reputazione e la violazione del copyright.
Sulla questione si è espressa anche Lydia Mendola, partner dello Studio legale Portolano Cavallo, mettendo l'accento non solo sul problema di identificare l'autore di un'opera generata da una AI ma anche sulla possibilità o meno di utilizzare contenuti prodotti da terzi (e protetti da copyright) per “addestrare” i modelli di intelligenza artificiale. «Oggi – conferma l'avvocato - non esiste una norma che risponda direttamente e univocamente a queste domande e si giunge necessariamente alla conclusione che l'opera generata artificialmente non possa trovare protezione nel diritto d'autore per la mancanza dell'apporto umano nell'atto creativo». In altre parole, il contenuto prodotto da una chatbot generativa non può essere considerato un'opera protetta da copyright, a meno che non sia individuabile un apprezzabile contributo creativo di una persona, e può dunque diventare di pubblico dominio. Con buona pace di chi sta giocando con ChatGPT e simili per produrre testi e immagini da rivendere in Rete.
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