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Coronavirus: il decreto tra obblighi, divieti, raccomandazioni e semplici consigli

Il legislatore prevede una identica sanzione per la violazione di tutte le regole previste

di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani

(ANSA)

4' di lettura

Le regole di comportamento utili e necessarie in una emergenza sanitaria vanno indicate dai medici. Ma se queste regole devono essere imposte, le deve introdurre il legislatore, come ha fatto con il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri oggi pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 59 del 2020.

Non discutiamo la condotta di chi ha consentito che venisse pubblicata una bozza di un decreto così severo e drammatico. Resta che i governanti più esperti conoscono modi per impedire che, nei momenti delicati, la stampa acceda ai testi in discussione. Un metodo è quello di scriverli a mano, un altro di inserire dei segni che consentirebbero quanto meno di individuare la fonte della propagazione. Si narra che Giuliano Amato avesse addirittura fatto chiudere i bagni e bloccato i rifornimenti durante il consiglio dei ministri del 1992 che condusse al prelievo forzoso dei conti correnti.

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Concentriamoci sul testo definitivo, forse il provvedimento che nella storia repubblicana limita in modo più diffuso alcune libertà - di movimento, di riunione e non solo - che connotano lo status costituzionale della persona nel nostro Paese. Ciò spiegherebbe perché accanto a divieti e obblighi vi siano “regole” lasciate alla spontanea adesione dei cittadini. La difficoltà di operare bilanciamenti tra diritti fondamentali; la complessità di comprendere quali misure siano utili, necessarie o indispensabili; una certa ritrosia a toccare i fondamenti del vivere civile, hanno probabilmente indotto il Governo a emanare un decreto che, accanto a disposizioni “imperative”, ne contiene altre che somigliano a “consigli”, ed altre ancora che paiono suggerimenti rafforzati, tanto da essere, per la loro, forse inevitabile, genericità, un misto tra un’imposizione e una raccomandazione.

È il caso, per stare all’art. 1 comma 1, della lett. a) che prescrive si «evitare ogni spostamento di persone fisiche in entrata e in uscita dai territori» della Lombardia e delle province indicate «nonché all’interno dei medesimi territori, salvo che per gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità ovvero spostamenti per motivi di salute».

Anzitutto, di quali «spostamenti» si parla? Senza dubbio quelli che varcano i confini tra la Lombardia e le province menzionate nel decreto e le altre del territorio nazionale. Ma forse anche quelli tra le province menzionate. Quest’ultimo sembra essere il significato dell’espressione: «all’interno dei medesimi territori». Col risultato che la disposizione pare vietare l’attraversamento dei confini provinciali, non però i movimenti all’interno delle province stesse.

Ma si tratta davvero un divieto? Il fatto che l’imposizione possa essere superata in situazioni tanto generiche come «comprovate esigenze lavorative o situazioni di necessità», rende assai arduo considerarlo tale. E, in ogni caso, anche se così fosse, quale perimetro ha? Tanto per fare un esempio, è sufficiente avere un lavoro “oltre confine” per poterlo valicare? Le «situazioni di necessità», poi, devono avere la caratteristica della scriminante dell’art. 54 c.p., ovvero essere la necessità, appunto, «di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persone, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile», oppure, come sembra, vanno intese in modo più generico?

La lett. b) dello stesso comma si incarica di raccomandare «fortemente» a chi ha una infezione respiratoria e febbre superiore a 37,5° C di rimanere presso il proprio domicilio e a non uscire di casa. Qui è più chiaro che si tratta di un consiglio, che l’avverbio non riesce a snaturare.

La lett. c), invece, fa «divieto assoluto» di muoversi dalla propria abitazione a chi è soggetto alla quarantena o sia risultato positivo al virus. Qui la presenza di un veto è più chiara, tanto da essere inutile la sottolineatura dell’aggettivo.
Seguono poi, alle altre lettere, sospensioni, chiusure e aperture condizionate che riguardano attività di dettaglio.

La disposizione prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro. Il che significa, in poche parole, che può essere estinta con il pagamento di 103 euro

Certo, immaginiamo, o meglio vogliamo sperare che nelle prossime ore e nei prossimi giorni la macchina burocratica dello Stato aiuti tutti, con l’emissione di circolari e regolamenti, a conformare la propria quotidianità alle regole ritenute efficaci per contenere l’espansione del virus. Tuttavia, non si può che stigmatizzare fin da ora la pessima redazione della sanzione ipotizzata. All’art. 4 comma 2 del decreto viene stabilito che «salvo che il fatto costituisca più grave reato, il mancato rispetto degli obblighi di cui al presente decreto è punito ai sensi dell’articolo 650 del codice penale, come previsto dall’art. 3 comma 4 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6». Tale contravvenzione punisce «chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall’Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza pubblica, o d’ordine pubblico o d’igiene».

Si resta sbigottiti di fronte a una sanzione uguale per la violazione di tutti gli «obblighi» imposti dal decreto, tanti, diversissimi tra loro, alcuni dei quali forse nemmeno possono dirsi davvero obblighi. Sicché si pone, irresolubile temiamo, un gigantesco problema di tassatività: le disposizioni assistite da una sanzione penale debbono essere precise, poiché tutti debbono sapere in anticipo se una determinata condotta è reato o no.

Infine, ma si tratta del meno, in una “confezione” tanto pasticciata, il richiamo all’art. 650 c.p. pare del tutto superfluo. La disposizione prevede l’arresto fino a tre mesi o l’ammenda fino a 206 euro. Il che significa, in poche parole, che può essere estinta con il pagamento di 103 euro. Più di un divieto di sosta, meno di un eccesso di velocità di modesta gravità.

Insomma, in un momento di emergenza vera dobbiamo malinconicamente considerare che il nostro legislatore non abbandona la propria tradizionale impostazione: usare lo strumento penale più per il simbolismo che ad esso si accompagna che per la efficacia delle misure che introduce. Vogliamo essere sicuri che le misure assunte per contenere il virus non siano frutto di analoga perizia.

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