cinema

«Che fare quando il mondo è in fiamme?», film di denuncia che non lascia indifferenti

di Andrea Chimento

«Che fare quando il mondo è in fiamme?» di Roberto Minervini

2' di lettura

È un weekend all'insegna del cinema impegnato, in particolare perché tra le novità in sala c'è «Che fare quando il mondo è in fiamme?» di Roberto Minervini, presentato in concorso alla Mostra di Venezia 2018.

Il regista, nato a Fermo nel 1970, prosegue nel documentare gli Stati Uniti meno conosciuti, le zone più periferiche e marginali (ricordiamo ad esempio il precedente «Louisiana», ma soprattutto il suo film più riuscito «Stop the Pounding Heart»), dedicando questa volta la sua attenzione a una comunità afroamericana dei sobborghi di New Orleans, per raccontare la continua discriminazione subita dai neri in America.

Loading...

Con un montaggio che regala scorrevolezza alla visione e un bianco e nero elegante che rende incisive le sequenze, Minervini si conferma un regista dal talento distintivo. Gli spunti proposti aiutano a riflettere sul razzismo ai giorni nostri (citando anche le rinate Black Panthers) e sulla sofferenza delle persone al centro del documentario: una comunità consapevole di avere ancora davanti a sé una vita di lotte per riuscire a non essere più soggetta alla violenza e allo sfruttamento

«Che fare quando il mondo è in fiamme?» di Roberto Minervini

Purtroppo, una certa ridondanza, con sequenze che tendono a ripetersi nel corso della visione, non consente a «Che fare quando il mondo è in fiamme?» di colpire come potrebbe. Resta, però, un film da vedere per gli importanti messaggi trasmessi e per il valido stile del regista, capace di mimetizzarsi nel gruppo di persone che riprende, così da proporre sul grande schermo una realtà il meno filtrata possibile.

Altrettanto atteso è «I figli del fiume giallo» di Jia Zhang-ke, uno dei più rilevanti autori cinesi in attività, che torna a ragionare sui cambiamenti in atto nel suo paese natale.

I figli del fiume giallo di Jia Zhang-ke

Il film racconta diciassette anni di storia della Cina contemporanea (dal 2001 a oggi) attraverso la storia di Qiao che, per salvare la vita al compagno, un piccolo boss della malavita di provincia, finisce in carcere per cinque anni. Quando esce dalla prigione, non lo trova ad aspettarla e inizia a cercarlo per riprendere la loro storia da dove l'avevano lasciata: le loro vite, però, hanno avuto un destino molto diverso.

Come in «Mountains May Depart», penultimo lavoro del regista, datato 2015, il film è diviso in diverse parti, per rendere ancora più espliciti i cambiamenti, sociali in particolare, avvenuti in Cina nel nuovo millennio.

I figli del fiume giallo di Jia Zhang-ke

Jia Zhang-ke è abile nel mescolare generi diversi, gangster e melodramma, nel fare dei rapporti individuali una metafora di tematiche universali e nell'impostare una messinscena efficace e convincente: diverse, inoltre, le citazioni e gli elementi di suoi film precedenti, che faranno la gioia degli appassionati del cinema del regista.

A una prima parte pregevole e incisiva (notevole ad esempio la sequenza della lotta campale tra gang), segue una seconda parte meno coinvolgente, con tempi narrativi dilatati: il risultato è un film significativo ma discontinuo nel ritmo che, però, come sempre nel cinema di Jia Zhang-ke, analizza con grande lucidità la storia del suo paese.

Menzione speciale per Zhao Thao, moglie e attrice spesso presente nei film del regista cinese, che regala un'interpretazione di grande intensità.

Riproduzione riservata ©

Brand connect

Loading...

Newsletter

Notizie e approfondimenti sugli avvenimenti politici, economici e finanziari.

Iscriviti