chi è maria elisabetta casellati

Chi è Maria Elisabetta Casellati, l’avvocato fedele a Berlusconi eletta al Senato con i voti M5S

di Riccardo Ferrazza

Sarà la prima presidente di Palazzo Madama

4' di lettura

Una nuova stagione della politica si è aperta e Maria Elisabetta Alberti Casellati, dal 24 marzo presidente del Senato e ora incaricata dal presidente Mattarella della difficile missione di cercare una maggioranza di governo tra centrodestra e Movimento 5 Stelle, ne è la prova. Entrata in politica nel 1994 con la nascita di Forza Italia, del berlusconismo è stata sempre alfiere.

Archiviata la Seconda Repubblica, è arrivata al vertice di Palazzo Madama dopo una mossa spregiudicata della Lega e con l’appoggio di quel Movimento 5 Stelle che con l’ex premier ha evitato con cura contatti diretti anche nei giorni delle trattative.

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Avvocato specializzata nelle cause di nullità davanti la Sacra Rota («il matrimonio non è un giro di valzer»), nata a Rovigo nel 1946 e residente a Padova in un palazzo di Via Euganea, case a Cortina e a Palizzi, punta estrema della Penisola in Calabria. Figlia di un partigiano «ma di fede liberale», già sottosegretario alla Salute e alla Giustizia nei governi del Cavaliere e fino a marzo componente laica del Csm in quota forzista (eletta dal Parlamento nel 2014), per effetto di nuove alchimie politiche è diventata la prima donna a ricoprire la seconda carica istituzionale della Repubblica. Sua sostituta in caso di impedimento del capo dello Stato di cui è chiamata a svolgerne le funzioni. Ora, proprio da Sergio Mattarella, incaricata di una delicata missione istituzionale: un incarico a sondare le forze politiche e capire se, a 45 giorni dal voto, esiste una strada che porti al governo.

Il 4 marzo la Casellati è stata eletta per la sesta volta al Senato: ha vinto nel collegio uninominale di Venezia (città del marito) dove ha ottenuto il 41,9% dei consensi, 118.877 voti. «La politica mi piace e spero di continuare» disse quasi 25 anni fa ai tempi dell’esordio con Berlusconi. Ci è riuscita ed è sopravvissuta anche al suo scopritore: Giancarlo Galan, l’ex Doge travolto dallo scandolo Mose (ha patteggiato una pena a due anni e dieci mesi di reclusione). Lei, invece, ha resistito e ora è arrivata ai vertici del Palazzo. Ostinatamente sotto il segno azzurro. «A casa mia tutti votano Forza Italia, compresa mia madre» fece sapere qualche anno fa. Proprio dalla famiglia sono venuti, però, alcuni incidenti di percorso. Come quello del 2005: da sottosegretario alla Salute chiamò la figlia Ludovica (l’altro figlio, Alvise, è un avvocato diventato direttore d’orchestra) a capo della sua segreteria. Fu travolta dalle polemiche ma lei si difese con virulenza: «Ludovica ha un curriculum eccezionale. Da dieci anni era in Publitalia. Per venire si è quasi dovuta licenziare, lasciando un lavoro a tempo indeterminato per uno precario».

Vicina di studio legale del concittadino Niccolò Ghedini, come lei avvocato, senatore e forzista con cui è in sintonia politica ma con il quale non può competere in materia di ricchezza patrimoniale. Nel 2015 (prima di dimettersi da Palazzo Madama per passare al Csm) la neo-presidente del Senato aveva infatti un reddito imponibile di 221.248 euro; nell’ultima dichiarazione Ghedini esibiva uno stratosferico 1,623 milioni di euro. È socio (quota del 20%) insieme al marito Giambattista Casellati (anche lui avvocato) di Esa srl, società fondata nel 1983 e attiva nel settore immobiliare.

«Non mi piacciono gli atteggiamenti materni o da crocerossina, tanto meno verso Berlusconi» dice di sé. Ma la sua missione, che l’ha resa per un lungo periodo uno dei volti televisivi più esposti tra i forzisti, è stata sempre quella di andare in soccorso del Cavaliere. Nella buona come nella cattiva sorte: dalla battaglia a sostegno delle leggi ad personam al caso Ruby che bollò come «un’ingiustizia». Nel 2013, nei giorni della decadenza dell’ex premier da senatore per effetto della legge Severino che lei visse in prima linea da membro della Giunta per le elezioni, se la prese con il Capo dello Stato Giorgio Napolitano: «Ha perso il suo ruolo istituzionale di garanzia per porsi a paladino delle istanze del centrosinistra e del Governo». In uno dei suoi ultimi tweet risalenti al novembre del 2013 chiedeva proprio a Napolitano: «Perché grazia a Romano (il colonnello statunitense della Nato condannato per il capo Abu Omar e graziato dal Quirinale, ndr) e a Cav no?». Sotto i suoi attacchi pro-berlusconiani, finì anche il predecessore alla guida del Senato, Pietro Grasso, di cui arrivò a chiedere le dimissioni. Appena subentrata nel suo ruolo, la senatrice veneta ha riconosciuto all’ex magistrato palermitano di aver «saputo presiedere questa assemblea conducendo i lavori in momenti di grande rilevo istituzionale».

Da iper-berlusconiana Casellati ha avuto sempre nel mirino il nemico storico del Cavaliere, Romano Prodi. Ne è derivata qualche curiosa polemica. «Si conferma il Pinocchio di sempre, pronto a negare l’evidenza anche quando qualcuno avanza sospetti sulla sua capigliatura» disse nel 2004. La smentita arrivò da un’altra donna, la moglie del Professore, Flavia Franzoni, intervenuta per escludere che l’allora presidente della commissione Ue usasse tintura per capelli. Più politica la battaglia che condusse quando il Professore tornò a Palazzo Chigi nel 2006: il centrosinistra si teneva in piedi grazie ai voti dei senatori a vita e la Casellati presentò una proposta per vietare il voto ai membri di diritto. «Il senatore a vita risale allo statuto albertino» attaccò. Argomenti e toni di un’altra epoca: come quando nel marzo 2013 manifestò, insieme ad altri parlamentari azzurri, davanti a Palazzo di giustizia di Milano in difesa di Berlusconi sotto processo per il caso Ruby. Martedì Casellati ha fatto visita ai vertici della procura milanese.

«Le stesse dinamiche che hanno caratterizzato le prime sedute del nuovo Parlamento - ha detto in un’intervista al Messaggero -, a partire dal completamento degli uffici di presidenza e l’istituzione della commissione speciale, confermano che laddove prevalgono il dialogo e il buon senso istituzionale si possono trovare soluzioni condivise e utili al Paese. Starà ora alla politica dare un segnale forte agli italiani, anche perché un eventuale stallo rappresenterebbe una sconfitta per tutti». Era il 4 aprile. Da allora la situazione non è cambiata. Spetta a lei verificare se esiste una via d’uscita e portare la risposta al Qurinale.

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