Chi lavora in Italia sotto la soglia del salario minimo
Sabato 8 luglio il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo che riporta un’analisi condotta il 3 luglio in un focus di Adapt da Tiraboschi e Lombardi, al fine di sostenere la fondamentale inutilità della proposta di un salario minimo a 9 euro
di Michele Tiraboschi e Maria Cecilia Guerra
5' di lettura
Sabato 8 luglio il Sole 24 Ore ha pubblicato un articolo che riporta un’analisi condotta il 3 luglio in un focus di Adapt da Tiraboschi e Lombardi, al fine di sostenere la fondamentale inutilità della proposta di un salario minimo a 9 euro, dal momento che il trattamento economico complessivo di una serie di importanti contratti collettivi nazionali, firmati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative, è già oggi al di sopra di quella soglia. Ora quello che vorrei segnalare è che l’argomentazione riportata, al di là delle valutazioni politiche che ciascuno poi vorrà dare della proposta, è tecnicamente sbagliata. La proposta di legge infatti chiede che al lavoratore sia riconosciuta una retribuzione complessiva, coerente con il dettato costituzionale (art. 36), e la individua nel ««trattamento economico complessivo, comprensivo del trattamento economico minimo, degli scatti di anzianità, delle mensilità aggiuntive e delle indennità contrattuali fisse e continuative dovute in relazione all’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa, non inferiore, ferme restando le pattuizioni di miglior favore, a quello previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro in vigore per il settore in cui il datore di lavoro opera e svolge effettivamente la sua attività, stipulato dalle associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale». Chiarisce inoltre che, in ogni caso e cioè indipendentemente da quanto pattuito nei contratti rappresentativi di cui sopra, «il trattamento economico minimo orario stabilito dal Ccnl, non può comunque essere inferiore a 9 euro lordi».
È quindi evidente che il limite di 9 euro, come soglia inferiore, posta a tutela della dignità del lavoro, non si riferisce, come erroneamente riportato nel focus di Tiraboschi e Lombardi, al trattamento economico complessivo, ma a quello minimo.
Ora, stando proprio alla scelta dei contratti effettuata dagli autori citati, e ai dati riportati nella tabella da loro predisposta, emerge con chiarezza che il parametro dei 9 euro orari non è rispettato in 6 dei 12 profili professionali indicati. E segnatamente, per stare ad alcuni di quelli indicati nell’articolo, nel caso del contratto della logistica per i Riders con bici livello I (retribuzione minima oraria 8,86) e nel caso del contratto della Distribuzione moderna organizzata, per l’Imballatore livello VI (8,51). Per non parlare dei contratti del settore Pulizia – multiservizi in cui il profilo scelto, Addetto potatura livello II, ha un trattamento minimo di 7,73 euro o quello della Vigilanza privata, in cui la Guardia giurata fissa livello 4 ha un trattamento minimo di 7,68 euro.
Responsabile nazionale Lavoro - Partito democratico
Il confronto politico sul salario minimo per legge è affrontato, in Italia, con un eccessivo grado di astrazione. È questa una delle ragioni della estrema polarizzazione del dibattito pubblico su una materia che, di per sé, è caratterizzata da un elevatissimo tasso di complessità tecnica. Le numerose proposte di intervento legislativo, che si susseguono con insistenza da dieci anni a questa parte, sembrano infatti non conoscere le reali dinamiche dei trattamenti retributivi nei diversi settori economici e produttivi che sono oggi governate da una ricca e diversificata contrattazione collettiva di livello nazionale. Sollecitare un intervento legislativo sui salari senza conoscerne l’attuale struttura e composizione non può portare a nulla di buono rispetto a una emergenza che certamente esiste e che, tuttavia, impone interventi che vadano oltre gli slogan e le bandiere politiche.
Obiettivo del focus Adapt è stato dunque semplicemente, al di là di ogni pregiudiziale politica e tanto meno partitica, quello di verificare, dati alla mano, quali siano oggi i trattamenti salariali stabiliti da alcuni dei principali contratti collettivi di lavoro. Come ricorda correttamente la professoressa Maria Cecilia Guerra la data di pubblicazione del focus Adapt è del 3 luglio mentre il testo della proposta legislativa a firma Conte, Fratoianni, Richetti, Schlein e altri è del giorno successivo. Vero anche che questa nuova proposta, presentata il 4 luglio, è identica, sul punto del contendere, al disegno di legge Catalfo del 22 aprile 2012 e pertanto i termini della questione sulla tariffa oraria, pari a 9 euro lordi, ci erano ampiamente noti. Se mai va precisato che la proposta Catalfo era tecnicamente più razionale e coerente rispetto al testo del 4 luglio, che ha consentito di raggiungere un compromesso tra forze politiche non omogenee, perché non si limitava a una determinazione del salario minimo di legge, ma si preoccupava anche di intervenire sulla rappresentanza delle parti sociali nella contrattazione collettiva.
La precisazione di cui sopra non è marginale, rispetto ai rilievi di merito della professoressa Guerra sul focus di Adapt, perché l’interpretazione che intende suggerire del testo di legge in questione, invero non suffragata da alcun un dato testuale esplicito, è che i contratti collettivi sarebbero tenuti per legge a fissare non un «minimo orario» ma «un minimo tabellare» (e gli addetti ai lavori sanno esattamente a cosa mi riferisco) pari almeno a 9 euro lordi. Una interpretazione questa che, peraltro, sarebbe palesemente incostituzionale perché alla legge è vietato imporre alcun obbligo al sindacato salvo non si intenda attuare l’articolo 39 della Costituzione il che, ovviamente, implica di seguire una strada ben diversa da quella prospettata nel disegno di legge in questione e andare dritti sulla regolazione della rappresentanza come del resto ha recentemente suggerito Maurizio Landini. Con la conseguenza che il trattamento economico minimo di cui parliamo è semplicemente un obbligo per i soli datori di lavoro e non per il sindacato.
Ma v’è molto di più, anche a prescindere dal fatto che, se fosse plausibile la proposta interpretativa suggerita dalla professoressa Guerra, il trattamento minimo imposto ai contratti collettivi (e ai datori di lavoro) sarebbe non di 9 euro lordi ma di almeno 10 o anche 11 euro lordi, a seconda dei criteri di calcolo imposti dai vari contratti collettivi e delle diverse figure professionali, perché al «minimo tabellare» vanno inderogabilmente aggiunte tutte le altre voci che concorrono alla definizione del trattamento retributivo sufficiente e proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro prestato.
Sfugge infatti, ai promotori della iniziativa, che i contratti collettivi nazionali di settore (salvo rare eccezioni) non distinguono il trattamento retributivo tra complessivo e minimo nel senso che è il trattamento retributivo complessivo il minimo imposto, per profilo professionale e livello contrattuale, al datore di lavoro. Tanto meno i contratti collettivi in Italia fissano un trattamento retributivo orario! I contratti collettivi parlano infatti, unicamente, di una retribuzione mensile indicando poi un divisore orario e le voci che devono essere conteggiate per arrivare al minimo orario contrattuale che è proprio il concetto usato dalla proposta di legge in esame. Prendiamo, come esempio, il contratto sottoscritto da Federmeccanica-Assistal e Fim Cisl, Fiom Cgil, Uilm (Parte sindacale). L’art. 3 della sezione IV, titolo IV, dispone che «la retribuzione dei lavoratori è determinata in misura fissa mensile. La retribuzione oraria dei lavoratori ai fini dei vari istituti contrattuali, si determina dividendo per 173 i minimi tabellari della classificazione unica, gli aumenti periodici di anzianità, gli aumenti di merito nonché gli altri compensi eventualmente fissati a mese. A tale importo si aggiungeranno gli eventuali elementi orari della retribuzione quali, ad esempio, incentivi, indennità varie, ecc..». Una conferma, tutto questo, della correttezza dei conteggi salariali contenuti nel focus di Adapt sui trattamenti orari minimi contrattuali (che non sono quelli tabellari) alla luce dei quali la proposta in discussione si rileva velleitaria: velleitaria non certo nei fini (questo non compete a noi dirlo) ma indubbiamente nella sua formulazione tecnica proprio perché non tiene conto della realtà e delle dinamiche retributive contrattuali del nostro Paese.
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