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Chiara Ferragni non è una star, è un brand. Ecco perché fa beneficenza

Destinare il compenso per la partecipazione a Sanremo alla lotta contro la violenza sulle donne è Brand Activism, ovvero (anche) un investimento pubblicitario per ottenere nuova visibilità e saldare la relazione con i suoi consumatori

di Riccardo Pirrone *

Sanremo, Chiara Ferragni: "Mio compenso contro la violenza sulle donne"

3' di lettura

Dopo la raccolta fondi da record (4,5 milioni di euro, è stato il crowdfunding più grande d’Europa) per potenziare le terapie intensive del San Raffaele, dopo il pandoro Balocco pubblicizzato (per beneficenza o per marketing?) per acquistare un macchinario all'ospedale Regina Margherita di Torino, Chiara Ferragni ha fatto sapere di voler devolvere in beneficenza anche il compenso che riceverà come co-conduttrice del Festival di Sanremo. Nello specifico, all'associazione D.i.Re che opera in difesa delle donne in difficoltà.

Ma perché Chiara Ferragni mira a diventare la nuova Madre Teresa di Calcutta vestita Versace? Per rispondere vi svelo un segreto: Chiara Ferragni non è una donna di Milano con tanti follower, è un personal brand. Un vero e proprio brand che appartiene a un'azienda di sua proprietà e che commercializza prodotti e servizi. La sua partecipazione a Sanremo è un servizio che il brand Chiara Ferragni fornisce al Festival e per questo motivo c'è un compenso che ammonta a 100 mila euro.Tutti (o quasi) gli ospiti di Sanremo ricevono un compenso, ne ho scritto l'anno scorso quando spiegai perché è giusto che Amadeus guadagni 600mila euro per condurre il festival e noi no.

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Detto questo, ognuno con i propri soldi può farci quello che vuole. C'è chi si compra un Rolex come ha fatto Piquè (per poi preferire un Casio-cit.) e c’è chi li dona in beneficenza. La beneficenza va fatta in silenzio? Non necessariamente. O forse sarebbe più corretto dire. Non più. Soprattutto se sei o hai un'azienda. Se nel marketing tradizionale il centro dell'intera strategia di brand era il prodotto e le sue prestazioni, oggi il faro è puntato sul consumatore, sui suoi valori, sulle sue emozioni, aspirazioni e soprattutto sui suoi problemi. Siamo diventati più consapevoli, non chiediamo alle aziende nuovi miracolosi prodotti, chiediamo di agire per cercare di risolvere i nostri problemi. Ed è quello che il brand Chiara Ferragni sta facendo molto bene da alcuni anni, passando però anche attraverso degli errori: come è successo con l'iniziativa Balocco, dove le vendite dei pandori non influivano sulla donazione finale (perchè la somma era già stata decisa), come veniva comunicato, e lei era solo una testimonial pagata.

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Come Chiara Ferragni, molti altri brand nazionali e internazionali hanno cominciato ad attivarsi sposando e finanziando cause sociali per sensibilizzare la collettività e per cercare di risolvere i problemi (o perlomeno per evitare di aggravarli). C'è la Nike che ha protestato contro la violenza della polizia nei confronti degli afro-americani, scegliendo proprio come testimonial sportivo il simbolo di questa protesta: Colin Kaepernick.C'è Patagonia che investe tantissime risorse del suo business per implementare soluzioni che possano risolvere la crisi climatica. Si chiama sostenibilità. C'è Dove che lotta da anni per una bellezza autentica, naturale e priva di filtri Instagram, per aumentare la nostra autostima. C'è Acqua Rocchetta che finanzia il Progetto Autonomia, si schiera dalla parte delle donne e lo fa per davvero, aiutandole a uscire dalla violenza.

Le persone, oggi, vogliono proprio questo, vogliono che le imprese guidino il cambiamento, pensano che sia giusto che le aziende si espongano di fronte a tematiche sociali. Non basta più vendere prodotti e offrire servizi. Le persone ammirano le aziende che si occupano di temi sociali, politici e culturali, anche a costo di dividere l'opinione pubblica o di perdere clienti. Le iniziative e la beneficenza di Chiara Ferragni è Brand Activism e se a prima vista possono sembrare gesti molto caritatevoli in realtà sono anche investimenti pubblicitari che servono a ottenere nuova visibilità e a saldare la relazione con i suoi consumatori.

Tutto il progetto “Chiara a Sanremo” è invece una precisa strategia pubblicitaria: la partecipazione alla kermesse, la decisione di donare il cachet, la scelta della corretta organizzazione solidale che possa collegarsi bene al suo brand, il messaggio scelto, la tempistica di divulgazione della notizia, la scelta di fare una conferenza stampa e la successiva vendita della maglietta con frase giggiona (sarà solidale anche questa?) che è stata indossata in ogni apparizione pubblica riguardante il progetto benefico.

Tutto questo può sembrare un piano diabolico di un'azienda mercenaria interessata solo a ottenere un ritorno in termini economici e di visibilità attraverso un gesto benefico e in parte è così, ma è anche quello che i consumatori vogliono oggi dai brand. Perché, lo ricordo di nuovo, Chiara Ferragni non è più una donna, è un brand e le sorelle, la madre, Fedez e i figli (loro inconsapevolmente) sono protagonisti e testimonial del brand. Non c'è nulla di male, ma è la verità, lo dicono i libri di marketing del 2022. Non possiamo dire però che è solo marketing perché è anche beneficenza. E in un'era in cui tutti vogliono apparire è giusto e utile che anche la beneficenza abbia i suoi 30 secondi di celebrità.

* Pubblicitario & Social Media strategist

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