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Chimica italiana: produzione in calo del 9% nel 2023

All’Assemblea di Federchimica, che ha eletto presidente Francesco Buzzella, emerge che anche le prospettive per il 2024 sono solo di lieve rimbalzo (+1%)

di Cristina Casadei

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4' di lettura

Tra gli industriali della chimica serpeggia una certa preoccupazione, tanto per la chiusura di quest’anno, quanto per le previsioni del prossimo. La produzione industriale dei primi otto mesi del 2023 è infatti in calo del 9,6% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Questo fa prevedere una chiusura del 2023 al meno 9%. E anche per il 2024 non si prevedono grandi rimbalzi: per ora si parla solo dell’1%. La domanda di chimica risulta in diffuso arretramento, senza segnali di ripresa, in molti settori: le costruzioni scontano una decisa frenata, dopo il boom del 2021-2022, ma i volumi di attività risultano in calo anche in ambiti meno ciclici come l’alimentare. Mostrano andamenti più positivi solo i settori che beneficiano ancora di spazi di rimbalzo post-pandemico, come la cosmetica e l’auto.

Il quadro europeo

La chimica è in contrazione in tutta Europa con un andamento particolarmente penalizzante in Germania (-14% in gennaio-agosto) che rappresenta per l’Italia il primo partner commerciale (quota sull’export pari al 13%). Domanda debole e profonda incertezza rendono concreti i rischi di razionalizzazione di alcune produzioni ad elevata intensità energetica.

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Il ruolo della chimica in Italia

Gli imprenditori si sono riuniti al Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano per l’assemblea annuale dove è stato eletto all’unanimità come nuovo presidente Francesco Buzzella, che succede a Paolo Lamberti, e non possono non sottolineare che dopo avere dimostrato grande capacità di reazione alla pandemia, risultano tra i più penalizzati dalla crisi energetica. In un contesto che, nel 2023, vede anche l’indebolimento della domanda. Il nostro Paese, a forte vocazione manifatturiera, conta su un’industria chimica che ha un valore della produzione di oltre 66 miliardi di euro nel 2022 e rappresenta la quinta industria: ha 2.800 imprese e 112mila addetti. Ciò che però tutti sottolineano è che il 95% dei manufatti ha una componente chimica, dall’alimentare alla cosmesi fino all’automotive, nessuno escluso.

Il peso della crisi energetica

Il rientro dei costi dai picchi del 2022 rappresenta un sollievo, ma la crisi energetica non può dirsi superata. Il prezzo del gas, che si riflette anche sull’elettricità, si mantiene su livelli superiori al pre-crisi (più che doppi nella media dei primi 9 mesi) e alle altre aree geografiche (oltre il triplo rispetto agli USA) in presenza di rischi al rialzo con l’avvicinarsi dell’inverno. Per effetto dell’accelerazione impressa dall’Europa agli obiettivi di riduzione delle emissioni, anche il costo dei permessi per le emissioni di CO2 nell’ambito del sistema ETS è salito dai 25 euro del 2019 ad oltre 85 euro nella media del 2023 in presenza di compensazioni dei costi indiretti legati all’elettricità solo parziali in Italia a causa dell’insufficienza dei fondi disponibili (nel 2021 erogazioni pari al 24% per i settori ammessi), è stato spiegato nel corso dell’assemblea.

Buzzella (Federchimica): "Crisi chimica anticipa quella manifattura, serve svolta"

Le strategie delle imprese per contenere i costi

Per contenere i rincari di costo, le imprese chimiche stanno utilizzando ogni leva disponibile, inclusa la sostituzione del gas naturale con combustibili alternativi e la riformulazione dei prodotti, oltre ad investire con convinzione nella cogenerazione, nelle rinnovabili e nell’economia circolare. Tuttavia, l’integrale sostituzione dei combustibili fossili, come petrolio e gas naturale, che nella chimica hanno il duplice ruolo di fonti energetiche e materie prime, al momento non è realizzabile. La specializzazione italiana nella chimica delle specialità e di consumo, con una quota di produzione settoriale del 61% a fronte del 45% a livello UE) rappresenta un fattore di relativa tenuta, anche alla luce del rientro delle quotazioni del gas su livelli più gestibili. Ma non attutisce le preoccupazioni. La filiera è strettamente interconnessa, di conseguenza l’indebolimento delle fasi a monte danneggia anche le attività a valle.

La sfida ambientale

A impegnare molto le imprese oggi è soprattutto la sfida ambientale che è in larga misura una sfida tecnologica e competitiva. La chimica è leader nella sostenibilità ambientale: secondo l’ultimo Rapporto Greenitaly, infatti, è il primo settore industriale per quota di imprese (60%) che investono in nuovi prodotti e tecnologie a maggior risparmio energetico e/o minor impatto ambientale a beneficio di tutto il sistema economico. Gli ambiti di sviluppo sono numerosi, alcuni dei quali beneficiano, in Italia, di competenze tecnologiche all’avan-guardia. Basti pensare al riciclo chimico delle plastiche, alle biotecnologie, alla produzione di idrogeno low carbon o rinnovabile, alla progettazione circolare dei prodotti e alla chimica da rifiuti, allo sviluppo di tecnologie innovative per l’efficienza energetica degli edifici, per la mobilità ecosostenibile, per la cattura, lo stoccaggio e il riutilizzo della CO2.Le imprese chimiche investono in ricerca, ogni anno, oltre 670 milioni di euro tanto nelle nuove tecnologie quanto nel miglioramento di quelle esistenti. Nell’ultimo decennio il personale dedicato alla R&S è aumentato di oltre il 70% e la quota sull’occupazione, pari all’8%, è ormai in linea con la media settoriale europea.

Il Green deal

La chimica è però il settore interessato dal maggior numero di iniziative legislative del Green Deal, con ricadute rilevanti in termini di costi e rischi di asimmetrie competitive nei confronti dei produttori extra-europei. Per questo per gli industriali è necessario integrare gli obiettivi ambientali europei con adeguate politiche industriali di supporto.Considerando le innumerevoli esigenze applicative, occorre promuovere tutte le soluzioni utili e non privilegiarne alcune a scapito di altre. Come nel caso dei sistemi di riuso degli imballaggi a fronte del riciclo, del riciclo like-to-like rispetto al bottle-to-fiber, della mobilità elettrica rispetto ai carburanti bio e rinnovabili. La neutralità tecnologica offre migliori opportunità di rinnovare la struttura industriale esistente, limitando i rischi di ricadute sociali negative, e contribuisce ad evitare che bruschi incrementi della domanda (ad esempio di elettricità) si traducano in forti rialzi dei prezzi a fronte di uno sviluppo dell’offerta non altrettanto rapido.

La necessità di normative guidate da un approccio scientifico

Per attivare gli ingenti investimenti necessari alla transizione ecologica della chimica, inoltre è fondamentale disporre di un quadro normativo stabile e coerente guidato da un approccio scientifico oltre che di agevolazioni per le imprese, anche alla luce del costo crescente del credito. Atteggiamenti inutilmente punitivi nei confronti dei prodotti o dei processi di precedente generazione non stimolano la trasformazione. Piuttosto è necessaria una diffusa semplificazione amministrativa e accelerazione degli iter autorizzativi, che non sia limitata ai progetti inclusi nel PNRR . Non si può infine trascurare che la chimica è tra i settori più energivori e quindi l’accesso all’energia a costi competitivi è vitale. In assenza di adeguate misure volte a mitigare gi costi energetici (anche nel caso di impiego quale materia prima) si rischia una perdita di competitività anche nei confronti degli altri principali produttori europei.


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