Chip shortage e crisi ucraina: l’auto elettrica corre tra i dubbi
Le scadenze perentorie e ravvicinate della transizione imposte dalla Ue fanno i conti con il mercato che travolge i produttori e le case
di Mario Cianflone
3' di lettura
Anno 2030. È la data che agita i sonni (e gli incubi) dei costruttori e, soprattutto, degli automobilisti. Tra 8 anni, infatti, gran parte delle case automobilistiche, anticipando la data del 2035 proposta dalla Commissione Ue per la messa al bando di diesel e benzina, smetterà di produrre auto termiche con una scelta in alcuni casi effettuata obtorto collo e in altri, invece, a fini di marketing e di sostegno alla creazione di un’ immagine green e cool da spendersi sul mercato azionario.
Sta di fatto che il 2030 per l’industria dell’auto è dopodomani. Non è un orizzonte lontano, ma un traguardo dietro l’angolo che crea più di un problema. Partiamo da quello più semplice: in queste settimane sono stati lanciati molti nuovi modelli e restyling, gran parte di questi sono termici o ibridi (talvolta plug-in): siamo davvero sicuri che gli acquirenti vogliano un modello che tra otto anni verrà consegnato all’oblio tecnologico della storia? Davvero gli strateghi ai piani alti delle case costruttrici pensano che qualcuno possa desiderare oggi una macchina che loro stessi sostengono essere già vecchia poiché il loro marketing continua a dire che faranno solo macchine elettriche, condendo gli annunci di parole come sostenibilità e inclusione? Non viene da crederlo soprattutto perché il mercato dell’auto sta affondando (ha perso il 30% rispetto all’era prepandemica).
Certo, c’è stato anche il chip shortage che ha ritardato le consegne a dismisura, creando un circolo vizioso dove utenti delusi da lunghe attese si rendono sempre più conto che il tempo passa e il 2030 incombe. E a questo punto, probabilmente la voglia di comprare passa del tutto.
Il mercato dell’auto e la sua industria soffrono di “annuncismo” e sembra una gara a chi la spara più grossa, in un meccanismo che ricorda le grandi bufale di Amazon sulle consegne con i droni o quelle di Uber sulle auto volanti. Gli annunci roboanti, si sa, mettono le ali ai titoli azionari e adesso il valore in Borsa è top priority ai piani alti dell’automotive perché la competizione con Tesla si è spostata proprio su questo terreno.
Inoltre, siamo davvero sicuri che la lapide dei motori termici sia stata già impressa sulla roccia? Ci sono, in realtà, forti dubbi e voci scettiche sulla corsa forsennata al full electric che arrivano anche dai vertici dei grandi gruppi. Siamo sicuri che senza sciogliere i nodi energetico, infrastrutturale e tecnologico, l’auto a batteria possa decollare nei tempi previsti?
Parla chiaro un recente studio «La mobilità elettrica: inevitabile o no? Analisi dal punto di vista dei consumatori». Si tratta di un report di Quintegia, sostenuto da Motus-E, associazione sponsor dell’auto a ioni di litio, e supportato da soggetti interessati a vario titolo alla transizione (fondazione Europea per il clima, commissione della Platform for Electromobility, ente europeo per la promozione e facilitazione di politiche a supporto dello sviluppo della mobilità elettrica). Secondo le stime «la domanda di auto elettriche supererà quella delle altre alimentazioni entro il 2025, nel 2030 rappresenterà il 50% della domanda totale e nel 2050 quasi l’80%». La diffusione sempre secondo Quintegia Motus-E è frenata ora dal prezzo ma questo «dovrebbe pareggiare quello delle vetture a combustione nel 2030 per i modelli dei segmenti più bassi della carline». Lo speriamo, ma è difficile da credere anche perché in più di un’occasione ceo come Carlos Tavares di Stellantis o Akyo Toyoda di Toyota hanno messo in guardia sulle conseguenze di un’offerta che, polarizzata verso l’alto, si dimentica delle utilitarie e del ceto medio.
Nel report appare fondamentale la ricarica domestica (grazie tante verrebbe da dire) e si sostiene che l’idrogeno (cioè le Fcev, auto elettriche con celle a combustibile ) non rappresenta una valida alternativa mentre i carburanti sintetici restano poco considerati (anche seaiutano a decarbonizzare il parco circolante, e non è poco).
Del resto questo studio ricalca molto la linea politica di potenti lobby come Transport&Environment che in più di un’occasione si è mostrata animata da un fervore cieco e assoluto nei confronti delle Bev, le auto eletriche con batterie a ioni di litio.
Comunque, che la rivoluzione elettrica sia in corso è indubbio. Anche se la guerra tra Russia e Ucraina sta cambiando le carte in tavola facendo riemergere nodi irrisolti come le politiche energetiche (l’auto elettrica senza fonti pulite non è un buon affare) e rimodulando le priorità anche delle famiglie che ora affrontano l’aggravarsi di una crisi iniziata con il Covid. I tempi duri non sono finiti.
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