La crisi del golfo

Chiudere al-Jazeera e la base turca, le impossibili richieste saudite al Qatar

di Roberto Bongiorni

La redazione di Al Jazeera a Doha

4' di lettura

Chiudere a-Jazeera. Smantellare la base militare turca. Mettere fuori legge i Fratelli musulmani. Interrompere le relazioni con l’Iran. Più che delle richieste sensate – come aveva domandato il Qatar - o moderate -come si era augurato il segretario di Stato americano Rex Tillerson – quelle giunte stamane a Doha attraverso la mediazione del Kuwait suonano come una provocazione. Improbabile, se non quasi impossibile, che il Qatar decida di soddisfarle tutte. Per risolvere la gravissima crisi diplomatica scoppiata tre settimane fa, Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti e Bahrain hanno inviato una lista con 13 condizioni. Tutte da soddisfare se Doha, che aveva comunque chiesto di rimuovere l’embargo prima di negoziare, intende ristabilire i rapporti diplomatici.

Al Jazeera, la voce mediatica del Qatar
Spicca senza dubbio la richiesta di chiudere, peraltro entro soli 10 giorni – l’emittente televisiva panaraba al-Jazeera. Fondata dal padre dell’attuale sovrano, Hamad, nel 1996, al-Jazeera è il braccio mediatico di Doha. Per il Governo egiziano, ma anche per Riad altro non è che il megafono dei Fratelli musulmani in tutto il mondo arabo. Il Cairo e Riad hanno già chiuso le sue sedi locali e proibito le trasmissioni. Ma non basta.

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La base militare turca in Qatar
Anche questa richiesta – da soddisfare in soli 10 giorni -suona come inaccettabile. Non solo per Doha ma soprattutto per Ankara.

Aperta l’anno scorso dopo l’accordo del 2014 fra l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, la base militare turca dista 30 chilometri da Doha. Prima della crisi accoglieva 300 soldati i turchi. Ma il ponte aereo in corso dovrebbe portare in tempi molto brevi il loro numero fino a 3mila militari, con l’appoggio anche di aerei e navi da guerra. Le recenti foto, diffuse da media turchi e qatarini, in cui si vedono grandi aerei da trasporto scaricare mezzi blindati e materiale bellico, confermano l’importanza che questa base ha agli occhi del Governo turco.

La Turchia reagisce: è un’interferenza. La base in Qatar è una struttura per la sicurezza nel Golfo e non si chiude.

Tagliare i ponti con la fratellanza Musulmana
Tra le altre richieste la chiusura di tutti i rapporti con la Fratellanza musulmana, dichiarato movimento fuori legge in Arabia Saudita ed in Egitto. Dallo scoppio delle primavere arabe il sostegno di Doha ai Fratelli musulmani si è esteso a diversi Paesi in aperto conflitto con i Governi locali. Per sostenere i Fratelli musulmani in Libia, a Tripoli, in Egitto, in Siria,ma anche in altri Paesi arabi , il piccolo Qatar non ha esitato a sborsare miliardi di dollari. E’ altamente improbabile che Doha decida di porre fine a questa alleanza che rappresenta la spina dorsale della sua politica estera.

L’esilio del padre dell’emiro
Anche l’esilio di Hamad bin Khalifa Al Thani, padre dell’attuale emiro, rappresenta una richiesta insostenibile. Fondatore della tv al-Jazeera, grande sostenitore dei Fratelli musulmani, Hamad bin Khalifa Al Thani rappresenta l’icona del Qatar. Nei 18 anni in cui è stato in carica (1995-2013) il piccolo Emirato è esploso finanziariamente, divenendo una potenza mondiale nel gas liquefatto fino ad arrivare al primo posto nel mondo nella classifica dei Paesi più ricchi per prodotto interno lordo pro capite. L’emiro Hamad aveva acconsentito, nel 2003, a fare approvare una Costituzione che ha trasformato l’emirato wahabita in una monarchia costituzionale. Ma da allora non sono mai state indette elezioni politiche.

Le altre richieste
Tra le altre richieste ve ne sono alcune prevedibili: consegnare tutti gli individui che i quattro paese arabi accusano di terrorismo. Cessare i finanziamenti a non gruppi terroristici (che Doha però ha sempre negato) e fornire informazioni dettagliate sulle figure all’opposizione che il Qatar ha finanziato e sostenuto. Non è un segreto che il Qatar abbia finanziato in Siria organizzazioni salafite estremiste - alcune fonti la accusano di aver sostenuto i qaedisti di Jabat al-Nusra - ma è altrettanto noto che l’Arabia Saudita è stata più volte accusata di sostenere, e finanziare, gruppi armati estremisti nella guerra civile contro il regime del presidente siriano Bashar al-Assad.

Infine le altre domande. Allinearsi politicamente, economicamente con il consiglio di Cooperazione del Golfo. Cessare di finanziare entità estremiste dichiarate dagli Stati Uniti come gruppi terroristici. E infine pagare una non meglio specifica somma come compensazione.

Il nuovo duello tra Turchia e Arabia
Da crisi nasce crisi. E le autorità turche non hanno per nulla apprezzato la richiesta saudita di chiudere la loro base militare in Qatar. «Se dovesse esserci una domanda del genere, significherebbe un’interferenza nei rapporti bilaterali tra due Paesi, ha subito chiarito il ministro turco della Difesa, Fikri Isik, aggiungendo che la base rappresenta «struttura per la sicurezza del Qatar e della regione». Ankara risponde così a Riad. Oltre ad inaugurare esercitazioni militari nei prossimi giorni, dallo scoppio della crisi con Riad e i suoi alleati, le relazioni commerciali tra la Turchia ed il Qatar sono triplicate per valore.

Se questa lista doveva rappresentare la prima fase di un delicato negoziato per risolvere la crisi e spegnere l’incendio diplomatico scoppiato nel Golfo, il rischio è che da oggi le fiamme divampino con maggior forza.

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