La lezione

Christo: «Vi spiego come la mia arte è diventata un modello di business»

Per ricordare l'artista bulgaro-newyorkese, morto a 84 anni, ripubblichiamo questa intervista, rilasciata a “IL”, in cui racconta l'anima dei suoi lavori e come si autofinanziava per creare liberamente

di Marilena Pirrelli

(REUTERS)

4' di lettura

La più grande opera d'arte britannica: Christo Vladimirov Javacheff, nato 82 anni fa in Bulgaria, sta dirigendo i lavori per costruire sul Serpentine Lake di Hyde Park a Londra una gigantesca scultura galleggiante, alta oltre 20 metri, composta da 7.506 barili da 55 galloni, dal peso di 150 tonnellate. L'impresa londinese The Mastaba (Project for London, Hyde Park, Serpentine Lake) ha riacceso il gusto per la sfida dell'artista che ha impacchettato il Reichstag a Berlino e il Pont Neuf a Parigi e ha allungato il molo del Lago d'Iseo due estati fa, facendo camminare sulle acque quasi un milione di visitatori. Barili di plastica rossi, bianco, blu e viola: contenitori di petrolio (composti a forma di prisma trapezoidale come le antiche Mastaba mesopotamiche e poi egizie) a ricordarci, per il tempo della mostra alla Serpentine Gallery Christo & Jeanne-Claude (dal 19 giugno al 9 settembre), che il pianeta è inquinato.

L’installazione 'The Floating Piers' di Christo Vladimirov Javacheff sul lago di Iseo (Marco Bertorello/Afp)

In cambio dell'occupazione temporanea dell'1 per cento della superficie del lago, l'artista ha assicurato un investimento ecologico per creare nuovi habitat per uccelli e pipistrelli, oltre a un sistema di riciclaggio dell'acqua per proteggere il lago dalla fioritura delle alghe. Tutto gratis per il pubblico: un caso di scuola, per la Harvard Business School, che cita tre esempi – Steve Jobs, Bill Gates e, appunto, Christo – su come avere successo negli affari.

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Ottobe 1991 un’installazione di Chirsto nel villaggio di Jimba Hitachi-Ota 120km a nortd di Toky (Kazuhiro Nogi/Afp)

Come hanno fatto, lui e la moglie (scomparsa nel 2009), a finanziare progetti multimilionari di Land Art? Né Christo né Jean-Claude sono nati ricchi, e sin dall'inizio hanno rifiutato sponsor e finanziamenti pubblici. Perché? «Per rimanere indipendenti, in modo che nessuno potesse dirci che cosa dovevamo fare», ci spiega l'artista. I disegni preparatori delle performance, i collage, i modellini che Christo vende direttamente a collezionisti: è questo il “capitale”. I ricavi vengono investiti nei progetti, ma investire non è la parola giusta, visto che tutte le performance sono gratuite e non producono guadagni diretti. Il profitto, se così si può chiamare, risulta solo dalla bellezza e dalla sensibilizzazione che il progetto stimola.

Tre opere hanno segnato una pietra miliare nella poetica della coppia di artisti, conosciutasi nel 1958: il Pont Neuf Wrapped a Parigi; il Wrapped Reichstag a Berlino, che registrò 4 milioni di visitatori; le 7.503 porte di tessuto color zafferano dei Gates a Central Park (New York, 1979-2005), 6 milioni di visitatori. Tutti hanno preso vita da una serie di disegni preparatori – di solito in piccolo formato – e disegni finali, collage complessi, spesso su larga scala; di tutte le performance, le foto di Wolfgang Volz conservano la memoria. Christo è il più grande collezionista delle proprie opere. Tiene molti lavori per poterli prestare alle mostre, a volte ricompra quelli che reputa particolarmente importanti. La coppia ha usato questo fondo di opere come garanzia per il credito e per pagare avvocati, ingegneri, assicurazioni, consulenze durante la realizzazione dei progetti.

La performance del Reichstag, per esempio, ha richiesto fondi per 15 milioni di dollari; Deutsche Bank ha garantito un prestito per la metà dell'importo e l'ultima rata è stata saldata nel 2003, otto anni dopo la realizzazione del progetto.

Come organizza tutto questo lavoro così complesso?
«Non ho mai avuto un assistente, sono da solo nel mio studio e mi concentro sul mio progetto. Lavoro sette giorni su sette e non faccio vacanze. Le opere hanno periodi “software” e “hardware”. Nel periodo software, il progetto esiste solo nei disegni preparatori, nell'immaginazione e nelle relazioni che mi servono per ottenere le autorizzazioni. Ci vogliono molti anni di lavoro... Le faccio qualche esempio: dal 1984 al 1991 per The Umbrellas, dal 1975 al 1985 per il Pont Neuf a Parigi, dal 1971 al 1995 per il Reichstag. Il periodo hardware, invece, è dedicato alla realizzazione reale dell'opera».

Il suo modo di finanziare le sue creazioni è diventato un caso di scuola...
«Abbiamo sempre pagato noi l'intero costo delle opere d'arte. I soldi provengono dalla vendita dei miei studi preparatori e dei primi lavori degli anni Cinquanta e Sessanta. Non accetto sovvenzioni o sponsorizzazioni di alcun tipo, aiuti volontari o denaro per poster, cartoline, libri, film, magliette tazze o qualsiasi altro prodotto associato. È una decisione estetica lavorare in totale libertà. Apprezzo la libertà più di ogni altra cosa».

Come realizza il suo modello di produzione artistica “sostenibile”?
«Le opere d'arte su larga scala sono temporanee, tutto viene rimosso. I siti sono ripristinati alle loro condizioni originali e la maggior parte dei materiali viene riciclata. Unica eccezione in Florida, nel 1983, per la performance Surrounded Islands, che cinse con 600mila metri quadrati di tessuto, intrecciato in polipropilene rosa galleggiante, 11 isole per 14 giorni. Il sito non è stato fortunatamente ripristinato alle condizioni originali: i nostri operai hanno rimosso, prima del progetto, a nostre spese, 40 tonnellate di spazzatura dalle isole (una era chiamata “l'isola delle lattine di birra”). La spazzatura non è stata restituita alle isole».

Che cosa avete voluto affermare con la vostra Land Art?
«Nel corso del tempo, gli artisti hanno cercato di inserire qualità diverse nelle loro opere d'arte, utilizzando materiali differenti come marmo, pietra, bronzo, legno, pittura... Hanno creato immagini mitologiche e religiose, figure e astrazioni, opere grandi e piccole... Ma c'è una qualità che non hanno mai impiegato: l'amore e la tenerezza che gli esseri umani nutrono per ciò che non dura: per esempio l'infanzia, oppure l'intera propria vita. Desidero donare questa qualità di amore e tenerezza al mio lavoro, come ulteriore qualità estetica. Il fatto che un'opera non sopravviva nel tempo crea l'urgenza di vederla. Se qualcuno dicesse “Oh, guarda c'è l'arcobaleno”, non potrei mai rispondere “Lo guarderò domani”».

Quale ruolo ha il pubblico nella sua arte?
«I miei progetti sono opere d'arte di gioia e bellezza per tutti, da godere gratuitamente. Tutte le performance sono in siti già esistenti e fruiti da persone, gestiti da esseri umani per gli esseri umani: in ambienti urbani o rurali, ma mai in luoghi inaccessibili».

Il prossimo progetto?
«Un'altra Mastaba, per Abu Dhabi, concepita già nel 1977. Sarà la scultura più grande del mondo, realizzata con 410mila barili a formare un mosaico dai colori brillanti e luminosi, che riecheggia l'architettura islamica. Sarà l'unica opera permanente su larga scala firmata Christo e Jeanne-Claude. Più alta di 11 metri della grande piramide di Giza, svetterà come una Torre Eiffel nel deserto».

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