Ci vediamo al festival che non c'è?
Viaggio nei luoghi dove esplodeva la musica per scoprire che estate sarà, tra molti programmi rinviati e qualche conferma
di Valerio Millefoglie
4' di lettura
L'Ippodromo delle Capannelle si trova a Roma e anche fuori Roma. Il cartello stradale su via Appia Nuova segna il confine tra questi due mondi. E dal 2002 i concerti di Rock In Roma creano un altro mondo ancora. «A quest'ora del pomeriggio cominciavano le prove», dice Germana Sestili di Diffusione Tessile, emporio che si trova proprio di fronte all'Ippodromo. «Spegnevamo la radio e almeno sentivamo un po' di musica dal vivo. Quest'estate ci mancherà la gioventù, venivano qui a comprarsi un asciugamano per ripararsi dal sole o quando pioveva dicevano “Che c'avete qualcosa per coprirci?”».
Ricorda i tempi di Fiesta, il festival di musica latinoamericana che c'era prima di Rock In Roma: «Alle 20 chiudevamo e andavamo tutti lì». Accanto al negozio di tessuti c'è il Cin Cin Bar di Paramjit Singh: «Tutti gli anni, in questo periodo, controllavo le prevendite sul sito e mi organizzavo per preparare panini e tramezzini». Una donna entra, chiede un panino. Paramjit non ne ha preparati. L'altoparlante dell'Ippodromo diffonde sullo spiazzo antistante i risultati del trotto: «800 in 58 e mezzo con fila indiana che al momento non si scompone...».
Dall'Ippodromo fanno sapere che non sarà un'estate diversa dalle altre, dato che anche con il festival la programmazione delle corse comunque proseguiva. Forse i cavalli, interpellati, direbbero altro; almeno a leggere del laboratorio di musica ed equitazione “Balletto a Cavallo”, tenutosi alla Cavallerizza Bettoni di Brescia in collaborazione con il Conservatorio della città, proprio perché pare che la musica abbia un effetto rilassante sull'animale.
Si parla di cavalli anche con Dario Lesmo, responsabile tecnico del Circolo Magnolia di Milano, dove dal 2006 si tiene il MI AMI, rassegna che in quindici anni ha saputo captare e spingere l'indie italiano diventato mainstream. «Quando si è aperta la possibilità delle visite ai congiunti abbiamo ripreso la sorveglianza, e ci è sembrato di essere tornati al 2006, con la natura che si è ripresa i suoi spazi. In una riunione con l'associazione di protezione civile e ambientale Le Giacche Verdi, abbiamo detto di aver sospeso il taglio dell'erba. Loro ci han risposto: “Per il Covid abbiamo dieci cavalli in più. Non sappiamo dove metterli, non sanno più dove brucare, ve li mandiamo?”. Sembrava uno scherzo e invece ce li hanno mandati».
Carlo Pastore, direttore artistico del MI AMI, rievoca gli inizi: «Era una Milano messa in ombra dall'amministrazione Moratti che chiudeva locali. Molti, come me, erano arrivati qui per costruirsi un futuro, e il futuro si costruisce anche vivendo la città. L'Idroscalo era un posto dimenticato da Dio, selvaggio, ma nel primo sopralluogo con i ragazzi del Magnolia ci vedemmo del bello. Ambivamo a fare un festival con più palchi e ci fidammo del luogo e delle persone che erano con noi».
Racconta la costruzione di un ricordo collettivo: «Nel 2016, Calcutta era appena uscito, non ero sicuro potesse fare un concerto da headliner, sul palco grande, così dissi: “Mettiamolo al palco La Collinetta, magari la gente si arrampicherà sugli alberi, lo sentirà male, ma si ricorderà della volta in cui vide per la prima volta Calcutta”. E così è stato».
Gianluca Gozzi, direttore artistico del TOdays di Torino: «Il luogo non è solo un contenitore anonimo, lo spazio suona insieme ad artisti e pubblico. Alla prima edizione questo era solo un posto da cui tanti volevano scappare, ricordo Elio Germano e Teho Teardo che si esibivano vicino ai ragazzi immigrati di seconda generazione che giocavano a calcetto. Dura tre giorni, ma è un presidio locale importante che cerca di costruire un'alternativa al percorso casa-panchina/panchina-casa».
Luca Cravero, 39 anni, tecnico informatico, abita a due chilometri dal parco e ha partecipato a tutte le edizioni. «Al festival capita di vedere al pomeriggio, fra casermoni, centri commerciali e famiglie, un duo di punk-rap come gli Sleaford Mods, fino alla performance notturna di Nils Frahm, circondato da pianoforti e organi che creano una connessione con l'ora tarda». Gozzi, pensando a come sarà il parco quest'anno, conclude: «Ora c'è un altro silenzio che risuona in me».
Silenziosa lo era Lucca prima che nel '98 arrivasse il Summer Festival. Lo scrittore Giampaolo Simi racconta: «All'epoca la città era messa in ombra dagli eventi della Versilia e c'era solo una birreria aperta di sera. Quest'estate sarà come tornare ad allora». Aggiunge: «Credo che i luoghi mantengano una loro identità. Questa piazza voluta dai francesi all'indomani dell'invasione è sempre stata il centro del governo. Ciò si riverbera nel fatto che, ancora oggi, qui aleggia il potere di chi ci influenza raccontando le nostre vite, come i cantanti».
Mimmo D'Alessandro, fondatore e direttore artistico del festival, testimonia la vivacità portata: «Quando Joe Cocker cantò You Can Leave Your Hat On, una spettatrice affacciata a un balcone fece uno strip». D'Alessandro spiega bene la permanenza della memoria lì dove le cose sono accadute, raccontando del concerto di David Gilmour a Pompei nel luglio 2016: «Rientrava in quel luogo da solista, a quarantacinque anni dal concerto con i Pink Floyd. Alle prove rimase mezz'ora in tribuna a guardarsi intorno. Sono sicuro che in quel momento gli stesse tornando addosso un pezzo di gioventù». Gerardo Cafaro, geometra di Chiaromonte, in provincia di Potenza, organizza dal 1990 un festival di musica metal, l'Agglutination, che si svolge nel cortile della scuola media Santa Lucia. Nel 1993 arrivarono quattromila persone, il doppio degli abitanti.
«Un gruppo tedesco scattò la foto a un vecchietto che si era portato la sedia al concerto e la pubblicò nel disco», dice Gerardo che, per la prima volta dopo venticinque anni, non passerà l'estate a Chiaromonte: «Nei giorni del festival quest'anno, ancora di più, si sentirà il silenzio che abbraccia il paese».
loading...