la frenata di pechino

Cina, crescita mai così bassa dal 1990: nel 2019 “solo” +6,1%

Il dato corrisponde alle attese degli analisti e rientra nell’obiettivo ufficiale di Pechino del 6,0-6,5%

di Stefano Carrer

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4' di lettura

L'economia cinese è cresciuta nel 2019 a un ritmo del 6,1%, con un rallentamento al 6% nel quarto trimestre gia' evidenziatosi nel periodo giugno-settembre: è l' espansione annuale meno robusta dal 1990, quando le turbolenze politiche frenarono il Pil su un +3,9%, ma appare come una performance significativa nell'anno che ha visto dispiegarsi con una maggiore ampiezza la guerra commerciale con gli Usa (sulla quale è stata raggiunta solo poco giorni fa una tregua).

L'Ufficio Nazionale di Statistica ha commentato che l'economia è riuscita a mantenere un “momentum” sostenuto nel corso di un periodo difficile, senza mancare di citare le sfide che riguardano problemi “strutturali, sistemici e ciclici” sul fronte domestico. D'altra parte, per la prima volta nella storia il reddito pro-capite ha superato i 10mila dollari l'anno.

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Il risultato è dentro il range indicato al governo (ossia tra il 6 e il 6,5%) e in linea con le previsioni di Fmi e Banca Mondiale, anche se la performance dell'ultimo trimestre appare leggermente inferiore alle stime di alcuni esperti.

LA GRANDE FRENATA DI PECHINO

Andamento del prodotto interno lordo. Valori %. (Fonte: Banca Mondiale)

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Si raffreddano produzione e domanda interna
Mentre le annuali vendite al dettaglio hanno rallentato la crescita all'8% dal precedente 9% - a segnalazione di un raffreddamento della domanda interna - spicca la frenata della produzione industriale al 5,7% dal 6,2% del 2018 (ma a dicembre si e' ripresa al 6,9%). Gli investimenti fissi nell'anno sono aumentati del 5,4%.

Tregua commerciale
L'obiettivo di espansione dell'economia per il 2020 – anno conclusivo del tredicesimo piano quinquennale - sarà annunciato a marzo: l'indicazione attesa è di un Pil “intorno al +6%”, target che peraltro non sarà semplice da conseguire anche in presenza della schiarita nei rapporti con gli States.
La “fase 1” di un accordo commerciale con gli Usa – conclusa con gli Usa a Washington mercoledì – dovrebbe dissipare i dimori di una nuova escalation delle dispute sul trade per almeno un anno.

No a stimoli su vasta scala
Pur senza il ricorso a manovre di stimolo di vasta scala, il conseguimento degli obiettivi governativi è stato attuato anche grazie un aumento ai massimi storici dei nuovi prestiti bancari , per un ammontare di 16.811 miliardi di yuan (2.440 miliardi di dollari), contro i 16.170 miliardi di yen del 2018: nell'anno la banca centrale ha introdotto una serie di misure per abbassare gli oneri del credito per le aziende e stimolare nuovi finanziamenti, specialmente in favore di aziende private e di dimensioni minori . Il volume totale dei crediti è salito in un anno del 12,3% a 153.110 miliardi di yuan. Vari analisti ritengono che provvedimenti minori di aggiustamento della politica monetaria in senso espansivo dovrebbero continuare, ma che eventuali tagli dei tassi di interesse saranno difficili da introdurre a breve per esigenze di equilibrio (a fronte della crescita dell'indebitamento nel sistema) e dell'accelerazione dell'inflazione. A fronte della stagnazione dei prezzi alla produzione, infatti, i prezzi al consumo sono saliti dall'1,6% all'inizio dell'anno scorso al 4,5% di novembre, sulla spinta dell'impennata dei prezzi delle carni connessa alla peste suina in corso. La stessa People's Bank of China ha assicurato ieri che la sua politica monetaria potrà' prevedere aggiustamenti ma resterà “prudente”.

“Atterraggio morbido”
Per l'economia cinese, la performance del 2019 fa proseguire un “soft landing” (atterraggio morbido) rispetto a ritmi di crescita che all'inizio del 2018 veleggiavano ancora al 6.8%: nel periodo, tutto sommato, l'impatto della guerra commerciale scatenata da Trump risulta meno forte di quanto non pochi analisti avessero pronosticato. La crescita aveva rallentato al 6,3% nella prima metà del 2019 ed era scesa al 6% nel terzo trimestre. Ma la frenata risale nel tempo, se si considera che- dopo esser calato sotto l'8% nel 2012 - nel 2014 il Pil registrò un + 7.3%, seguito da un + 6.925% nel 2015, +6.725% nel 2016, + 6.75% nel 2017 e + 6.6% in 2018. Un livellamento fin troppo lineare, che chiama in causa la questione dell'affidabilità delle statistiche ufficiali e fa ipotizzare che in futuro possa essere abolita la precisazione annuale degli obiettivi governativi sull'economia (già del resto indicati in una fascia anziché in un numero secco). Una diminuzione dei ritmi di crescita è inevitabile per una economia tanto cresciuta: il trend pare destinato a continuare, anche per motivi diversi da quelli specifici degli ultimi anni come un rallentamento nella costruzione di infrastrutture, consumi inferiori alle più ottimistiche aspettative e saturazione del settore manifatturiero (su cui ha pesato la crescente competitività del sudest asiatico).

Il calo della natalità
Oggi sono uscite anche altre statistiche interessanti. Anche il più popoloso Paese del mondo mostra di soffrire di un fenomeno ormai diventato estremamente preoccupante in molti Paesi avanzati: il calo delle nascite, che indebolisce le prospettive economiche a medio - lungo termine. Il numero dei nati nel 2019 è sceso a 14,65 milioni (da 15,23 milioni, con un calo di 580mila unita' rispetto al 2018: il livello più basso dai tempi della grande carestia tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 del secolo scorso che costò la vita a decine di milioni di persone. Il tasso di fertilità e calato a 10,49, il più basso dalla fondazione della Repubblica nel 1949: l'abolizione nel 2015 dell'obbligo del figlio unico introdotto nel 1979 non è riuscita a rilanciarlo. La popolazione complessiva e' comunque leggermente salita da 1,39 a 1,4 miliardi di persone, di cui il 18% circa (253,8 milioni) ha oltre 60 anni.

Per approfondire:
Guerra dei dazi, pace Usa-Cina. Cosa prevede l'accordo
Perché l'accordo Usa-Cina non risolve le tensioni commerciali globali

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