Cina, inflazione ai massimi da 26 anni, +10,7% sul 2020
L’indice dei prezzi alla produzione galoppa ma per il governatore della Banca centrale Yi Gang l’inflazione cinese è “moderata”
di Rita Fatiguso
2' di lettura
Non c’è solo il boom dell’export, è record anche per i dati sull’inflazione dei produttori cinesi ai massimi da 26 anni a questa parte nel mese di settembre. Una variabile che rischia di aggravare la pressione inflazionistica globale. Se le imprese cinesi iniziano a trasferire costi più elevati sui consumatori la fiammata che parte dalla fabbrica del mondo si estenderà all’intero globo.
Nel 2020, il Ppi (Price production index) dell’intero anno cinese è diminuito dell’1,8% rispetto all’anno precedente, mentre nel 2019 è diminuito dello 0,3% rispetto all’anno precedente. Ma il tasso di inflazione al consumo di base, esclusi cibo ed energia, è aumentato dell’1,2% a settembre.
Dal produttore al consumatore
Il dato più rilevante dell’Istituto nazionale di statistica è che i prezzi alla fabbrica in Cina sono cresciuti al ritmo più veloce in quasi 26 anni a settembre. L’indice dei prezzi alla produzione è salito del 10,7% rispetto all’anno precedente, battendo le previsioni e raggiungendo i massimi dal novembre 1995, con l’aumento dei prezzi del carbone e di altri costi delle materie prime, secondo i dati dell’Ufficio nazionale di statistica.
Ci sono ancora pochi elementi per dire che le fabbriche di beni di consumo stiano trasmettendo costi più elevati ai clienti, con i prezzi al consumo che crescono a un ritmo più lento dello 0,7% il mese scorso.
La variabile energetica
Tuttavia, un simile meccanismo, una volta innescato, potrebbe cambiare lo scenario. I produttori vedono i loro profitti ridotti mentre devono affrontare costi più alti dell’elettricità in un contesto di crisi energetica galoppante. Il divario allargato tra Ppi e Cp, tra produzione e consumo, segnala una maggiore pressione per i settori a monte nel trasferire i costi crescenti a quelli a valle. Ma il governatore della Banca centrale cinese, Yi Gang, ha dichiarato al forum del Gruppo dei 20 che l’inflazione cinese è “moderata” e che la politica monetaria sarà flessibile, mirata, ragionevole e appropriata.
Dall’America Latina all’Europa l’inflazione dilaga. I dati statunitensi segnalano una crescita del 5,4% a settembre rispetto all’anno precedente, anche se la Federal Reserve ha insistito sul fatto che la maggior parte della pressione sui prezzi è un effetto transitorio di un’economia globale che emerge dalla pandemia .
I margini per la Banca centrale
Essendo ancora il più grande esportatore mondiale, la variabile prezzi cinese è tutt’altro che da sottovalutare. L’interazione sarebbe attenuata dal fatto che i panieri di prodotti che i Paesi utilizzano per calcolare i prezzi al consumo tendono a includere beni locali piuttosto che quelli importati. Ma i prezzi di materie prime come il petrolio greggio hanno continuato a salire, con il Bloomberg commodity index in aumento del 5% nel mese.
Con i futures del carbone a livelli record e il governo che ha aperto all’aumento dei prezzi dell’energia elettrica, la pressione inflazionistica potrebbe scaricarsi agevolmente sui consumatori. Il Ppi potrebbe toccare il 12% a ottobre o novembre e il 7,5% per l’intero anno. I prezzi al consumo potrebbero sfiorare il 2% nel quarto trimestre per raggiungere lo 0,9% nel 2021.
Ci si aspetta che la Banca centrale riduca il coefficiente di riserva obbligatoria per le banche per contribuire a stimolare la liquidità nell’economia. Ma per Yi Gang l’obiettivo è sostenere la crescita. E l’inflazione più bassa del Cpi per il momento almeno offre spazi di manovra.
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