Cina, resta alto il rischio della fuga di capitali
dalla nostra corrispondente Rita Fatiguso
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PECHINO - Resta altissimo il rischio di fuga di capitali cinesi: la Banca centrale e il suo braccio armato per la gestione dei flussi di valuta estera, la Safe, faranno del loro meglio per stopparli. Perfino gli investimenti cinesi all'estero saranno attentamente monitorati. Anche questo è un output significativo della Central financial work conference che si è svolta nel weekend e che punta a monitorare e prevenire i rischi sistemici dei mercati cinesi favorendo il piano di riforme.
Dopo il 6,9% registrato nei primi due trimestri per quanto riguarda la crescita del Pil 2017 Pechino cerca di presentarsi domani al dialogo con gli Usa con tutti i numeri in ordine.
Non sarà facile per la Cina riprendere a negoziare con un disavanzo che non accenna a frenare. Anzi. Il divario nella bilancia commerciale tra Cina e Stati Uniti a giugno è stato di 25,4 miliardi di dollari rispetto ai 22 miliardi di maggio, il più alto dal mese di ottobre del 2015.
Questo sbilancio, in sé, è stato il principale capo di accusa sventolato da Donald Trump sotto gli occhi della Cina, accusata di dominare l'economia americana sottraendole energie preziose senza, in compenso, offrire nulla in cambio se non merci scadenti.
Le cifre delle Dogane cinesi danno ragione all'amministrazione americana: infatti, uno dei dati economici più importanti diffusi ieri a Pechino, e destinato a incidere senz'altro sui negoziati commerciali bilaterali che partiranno il prossimo 19 luglio, è proprio il crescente disavanzo commerciale che penalizza gli Usa e che non accenna a invertire la rotta.
I 100 giorni di dialogo lanciati del vertice tra Xi Jinping e Donald Trump a Mar a Lago in Florida tecnicamente, hanno portato a raggiungere una serie di risultati, ma questo dato oggettivo sulla crescita del trade surplus non contribuisce certo a una ripresa utile a entrambe le parti in causa.
In generale, le esportazioni cinesi, stando sempre ai dati delle dogane diffuse la scorsa settimana, sono cresciute del 17,3%, le importazioni del 23,1%, con un trade surplus pari a 43,4 miliardi.
Il versante più caldo è quello americano: che succederà nel Dialogo economico globale Stati Uniti-Cina istituito dal presidente Trump e dal presidente Xi nell'aprile scorso proprio per consentire ai due Paesi di affrontare e risolvere l'insieme delle questioni economiche?
Il Dialogo è co-presieduto dal Segretario del Tesoro Usa Steven T. Mnuchin e dal Segretario Commerciale Usa Wilbur Ross e dal Vice Presidente del Consiglio di Stato cinese Wang Yang, un tenace ed esperto negoziatore. Si terrà a Washington e dovrà rimettere in moto le questioni più importanti delle due economie.
Un altro dato interessante, comunque, da tenere d'occhio è quello relativo agli investimenti cinesi all'estero: quelli diretti nel primo semestre sono crollati del 45,8% a 48,19 miliardi, effetto essenzialmente delle misure per orientare gli investimenti, impedendo quelli poco centrati, infatti il calo totale è stato dell'11.3%. Quelli nel settore immobiliare addirittura hanno registrato una frenata superiore all'80 per cento.
Quest'anno lo yuan ha guadagnato il 2%, l'anno scorso ben 320 miliardi di riserve sono andate in fumo per sostenere il crollo del 6,5% contro il dollaro, il tonfo più pesante dal 1994.
Paesi come la Germania dopo acquisizioni problematiche come Kuka e Aixtron stanno studiando la possibilità di mettere paletti agli investimenti cinesi. Quelli diretti in Cina hanno registrato, dal canto loro, un calo dello 0,1% a 441.54 miliardi di yuan, pari a 65.1 milioni di dollari nel primo semestre rispetto all'anno scorso. In giugno, tuttavia, si registra un aumento del 2.3% rispetto all'anno precedente.
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