Cina, lo spettro della deflazione sulle speranze di crescita
Ritorna il calo dei prezzi unito alla flessione dei fondamentali dell’economia. Ben più grave dell’inflazione in un contesto di bolla immobiliare e domanda esterna debole
di Rita Fatiguso
3' di lettura
Come sta la Cina, i cui destini tengono il mondo col fiato sospeso? La sua economia ha una febbre curabile oppure è vittima di malattia grave? Deflazione, ovvero il calo del livello generale dei prezzi opposto all’inflazione ma combinata a una crescita debole, è la diagnosi preoccupante che torna a insidiare le aspettative di ripresa del Paese. In ottobre i prezzi al consumo sono scesi sottozero. L’unica entità internazionale disposta a spezzare una lancia in favore della Cina è il Fondo monetario internazionale che ha appena incitato i banchieri «a cavalcare il dragone», pur ammettendo che la bilancia commerciale resta un problema, insieme alla debole domanda esterna e al fragile settore immobiliare.
Fmi ottimista nel breve
Nel medio termine il calo sarà graduale fino a circa il 3,5% entro il 2028 a causa della debole produttività e dell’invecchiamento della popolazione. Solo politiche macroeconomiche di sostegno potranno rappresentare una controspinta. Quindi la stima Fmi sale al 5,4% rispetto al precedente 5 per cento.
Linea di credito ancora più importante se si pensa che le esportazioni cinesi sono diminuite del 6,4% in ottobre rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, è il sesto mese consecutivo di calo e va peggio del sondaggio degli analisti che prevedeva un calo del 3%. Un segnale positivo, tuttavia, è che le importazioni cinesi sono aumentate su base annua per la prima volta da febbraio, aumentando del 3%. Segno che la crisi della domanda spinge il mercato interno ad assorbire il surplus di beni realizzando il cambio di marcia che la Cina da tempo avrebbe dovuto innescare, passando dal modello import-export a quello dei consumi interni.
Torna la gelata sui prezzi
Ma in questo contesto le pressioni deflazionistiche in Cina si sono aggravate ad ottobre, quando i prezzi al consumo sono tornati sotto lo zero e il calo dei costi di produzione si è accentuato, segno che l’economia reale ha bisogno di maggiori stimoli per sostenere la crescita. I prezzi al consumo sono scesi dello 0,2% il mese scorso dopo essersi avvicinati allo zero nei due mesi precedenti, a confermarlo ieri è stato il National Bureau of Statistics, rivelando un valore inferiore alla previsione mediana di un sondaggio tra gli economisti.
I prezzi alla produzione sono scesi per il 13° mese consecutivo, scendendo del 2,6%. Stesso destino per la carne di maiale, la carne per definizione, vero e proprio termometro del costo della vita in Cina.
La Cina, nei fatti, ha già combattuto ostinatamente la debolezza dei prezzi per gran parte di quest’anno. I prezzi al consumo sono scesi sotto lo zero a luglio e hanno vacillato oscillando intorno a valori negativa su base annua. In agosto la Banca popolare cinese ha dichiarato che i prezzi sarebbero ripresi dal periodo difficile dell’estate, tuttavia mentre i costi di produzione calano è necessario un sostegno maggiore per contrastare le pressioni deflazionistiche.
Dalla padella alla brace, dunque. Combattere la persistente disinflazione in un contesto di domanda debole rimane una sfida per i politici cinesi, perchè le aspettative di inflazione potrebbero minacciare la fiducia delle imprese e la spesa delle famiglie, ma la deflazione è uno spettro che fa altrettanto paura.
Il sentiment degli investitori
Moltissimo è stato fatto per ristabilire la fiducia nei mercati finanziari, a inizio settimana un pacchetto di riforme ha iniziato a funzionare per migliorare la fiducia nell’economia devastata dal post Covid-19 combinato al tracollo del settore immobiliare e alla debolezza dell’export.
Gli investitori stranieri hanno venduto azioni e obbligazioni cinesi a raffica, per decine di miliardi di dollari, una tendenza esacerbata dai tassi di interesse molto più alti negli Stati Uniti. Com’è logico che sia, viste le caratteristiche del socialismo con caratteristiche cinesi, durante una conferenza a Hong Kong - presenti, tra gli altri, James Gorman di Morgan Stanley, David Solomon di Goldman Sachs, Ken Griffin di Citadel e Mark Rowan di Apollo Global Management - i massimi responsabili dell’economia si sono stretti intorno a He Lifeng, vice-premier, zar degli affari economici e finanziari, secondo il quale il 5% di crescita nel 2023 è alla portata della Cina.
Gli ha fatto eco Zhang Qingsong, vice governatore della Banca centrale, il quale ha dichiarato di non essere troppo preoccupato. I fondamentali economici della Cina sono stabili, il debito pubblico è inferiore a quello di molte altre economie avanzate e quello degli enti locali, in crescita, dopo la Work Financial Conference di fine ottobre, è nel mirino delle autorità di Governo.
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