Interviste di moda

Cinquanta anni italiani: un anniversario a colori

Lo stretto legame tra Sir Paul Smith e il nostro Paese nasce sulle rive del lago di Como, fra sete e stampe che raccontano la maison e mezzo secolo di storia.

di Silvia Paoli

Paul Smith nel suo studio

4' di lettura

La prima volta che Sir Paul Smith venne in Italia, aveva 15 o 16 anni. Di sera, a Nottingham, la sua città natale, lavorava a un distributore di benzina e la proprietaria organizzava attività per i giovani, tra cui un viaggio di 20 ore, tra treno e pullman, per raggiungere Cadenabbia, sul lago di Como. Paul era nel gruppo di adolescenti in gita sul lago. Ma era già Paul Smith. «Ho scoperto che gli uomini indossavano i colori. Maglioni, o anche dei pantaloni. In Inghilterra, si vestivano per lo più di scuro. La prima impressione dell'Italia fu, dunque, colore e un senso di simpatia, di amicizia. E buon cibo, naturalmente, che in quel caso era pesce di lago».

Paul Smith con la moglie Pauline nel 1972.

Oggi che la sua maison di moda (una tra le pochissime posseduta da chi l'ha fondata e auto finanziata) compie 50 anni, colore, stampe e simpatia, tradotto più come sorpresa un po' irriverente, sono i segni che distinguono ancora le sue creazioni e il suo modo d'essere nel mondo della moda «che tende a prendersi un po' troppo sul serio. Certo è un'industria molto importante, Paul Smith è presente in 73 Paesi e abbiamo 2mila dipendenti diretti, ma cerco di tenere sempre i piedi piantati in terra e conservare la curiosità (non l'ingenuità) di bambino», dice. Anche il lago di Como è rimasto come riferimento per uno dei suoi inconfondibili stilemi: i tessuti stampati a motivi giocosi. «Quasi tutto l'abbigliamento Paul Smith è fatto in Italia. Ora, senza risultare troppo adulatore nei confronti degli italiani, mi piace la vostra attitudine verso la vita, la positività, il fatto che lavorate per vivere, e avete un innato istinto per la qualità. C'è una stilosità che non è fisica, ma mentale, un'attitudine a fare gli abiti belli; in altri Paesi l'approccio è fare vestiti a un certo prezzo, in Italia no. E poi la qualità delle stampe è altissima, con aziende come Ratti, Pinto, Mantero: meravigliose».

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Backstage della sfilata per i 50 anni della maison.

L'approccio mentale nel concepire, realizzare, lavorare le cose con standard di qualità si dimostra in uno dei quattro oggetti italiani che ha scelto per inserirlo in Paul Smith, il libro celebrativo del 50esimo anniversario, edito da Phaidon, che raccoglie 50 oggetti emblema del suo stile. «La sedia da cui le sto parlando è la Cab di Mario Bellini. Ora, moltissime sedie disegnate da architetti e designer sono visivamente molto belle, ma tristemente scomode. Questa no, è bella e confortevole, è in pelle, ha 20 anni e, come il tuo paio di jeans favoriti, migliora col tempo». La monografia è una raccolta di immagini di oggetti che vogliono creare la suggestione di un modo di essere, di pensare e lavorare: Paul Smith spera «possa essere anche un'ispirazione per i giovani, per capire attraverso questi oggetti e la spiegazione di cosa significano come poter arrivare a 50 anni nella moda, un risultato non scontato».

Gli inizi sono in un piccolo negozio di Nottingham. «A pensarci, è proprio un esempio di come il mondo sia radicalmente cambiato; prima, nella moda e nel design in genere, se avevi un'idea in mente e nel cuore, dovevi crearla, e poi mostrarla fisicamente, sperando che piacesse a qualcuno. Oggi, è più una questione di merchandising, networking e promozione, Instagram, Facebook. Credo che una maison di moda debba trovare un equilibrio tra una conversazione fisica col cliente, in un luogo dove può vedere e toccare le cose, e l'e-commerce». Gli oggetti sono rivelatori di gusto, spunti di conversazione, soggetti di collezioni formidabili (molte sono nell'ufficio di Paul, «per farne una mostra mi servirebbe tutta la Triennale di Milano»), che oggi vengono nutrite anche dai contributi dei fan che spediscono da tutto il mondo: «Arrivano cartoline e gadget dal Giappone, dall'America». Posti dove Paul Smith, specie agli inizi, viaggiava molto, affrontando la solitudine dei lunghi spostamenti con un altro oggetto culto: il walkman Sony.

La nuova boutique Willoughby House, a Nottingham.

Gli chiedo che inno sceglierebbe per questo suo Giubileo nella moda e, dopo aver accennato – non senza ironia – a “Dio salvi la Regina,”, racconta di ore negli aeroporti passate ascoltando Harvest di Neil Young o Astral Weeks di Van Morrison. «Van Morrison mi ha portato in giro in tutto il mondo». Solo nei viaggi, ma non in quest'avventura, perché accanto a lui dal 1967 c'è la fidanzata e poi moglie Pauline. «Non ho una formazione accademica in fashion design, mentre Pauline sì, ha studiato moda al Royal College of Art di Londra e così avevo un tutor privato a casa che mi insegnava tutto: l'importanza di come sono costruiti gli abiti, le proporzioni, la qualità. Poi io ho aggiunto, nei completi da uomo, le fodere colorate, oppure un'asola del polsino di un colore diverso, c'è sempre un piccolo tocco di humor, una leggera irriverenza».

Un ritratto di Sir Paul Smith, firmato dal fotografo David Bailey.

Al suo rapporto con l'Italia, contribuisce anche la casa che da 35 anni la famiglia ha in lucchesia, dove gli Smith passano un mese l'anno, frequentando la zona di Forte dei Marmi e Pietrasanta, visitando mercatini, comprando ceramiche e Paul anche facendo lunghi giri in bicicletta («quando sono in forma, vado in Garfagnana»). Un libro con 50 oggetti, una moltitudine di gadget da collezione, ma quello da cui mai si separerebbe sono «gli album che ho con Pauline, dal 1967. Da allora non abbiamo mai smesso di farli. Anzi, ho appena stampato le foto di quest'estate e stasera le porto a casa».

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