Cassazione

Cinque euro per ottenere subito un certificato? Per l’impiegato licenziato erano «regalie d’uso»

L’assoluzione dal reato di corruzione del dipendente del Comune di Roma, non lo salva dall’espulsione in linea con il Codice di comportamento adottato dall’ex sindaco Ignazio Marino sulla scia della legge Severino

di Patrizia Maciocchi

(Imagoeconomica)

2' di lettura

Cinque euro per ottenere un certificato di morte “a vista”, senza costringere il cittadino a tornare. Per l’impiegato capitolino - il cui licenziamento è confermato dalla Cassazione - si trattava di una prassi e la piccola dazione di denaro andava considerata una regalia d’uso, in cambio della corsia preferenziale per avere in tempo reale un certificato che era del tutto gratuito.

Il Codice deontologico di Ignazio Marino

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Ad escludere la possibilità di invocare la regalia d’uso, spiega la Suprema corte (sentenza 3659) anche il Codice di comportamento, adottato dall’ex sindaco Ignazio Marino, sulla scia della legge Severino per il contrasto alla corruzione nella Pa. Con la deliberazione 429/2013 la Giunta capitolina considerava comportamento contrario ai doveri d’ufficio accettare regali e altre utilità, anche di modico valore quando, come nel caso esaminato, non potevano essere considerate regalie d’uso proprio perché legate allo svolgimento di una pratica amministrativa.

La sentenza

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Regali modesti solo nelle normali relazioni di cortesia

Un Codice deontologico coerente con il Dpr 62/2013 il quale prevede che il dipendente pubblico possa accettare regali di modesto valore, solo se inquadrabili nelle normali relazioni di cortesia «e nell’ambito delle consuetudini internazionali». E comunque certamente non può mai chiedere nulla come contropartita «per compiere o per aver compiuto un atto del proprio ufficio da soggetti che possano trarre beneficio da decisioni o attività inerenti all’ufficio, né da soggetti nei cui confronti è o sta per essere chiamato a svolgere o a esercitare attività o potestà proprie dell’ufficio ricoperto».

Irrilevante l’assoluzione del reato di corruzione

Inutile per il ricorrente, incastrato dalle telecamere di un giornalista, invocare l’assoluzione dal reato di corruzione in sede penale. Un verdetto, con il quale era stato escluso il fatto reato ma non il fatto in sé, documentato da un video, corredato da testimonianze e, del resto, non negato dallo stesso responsabile. Ad avviso del giudice penale, affermare l’abitualità non bastava il superamento del tetto dei 150 euro l’anno, che i codici di comportamento dei dipendenti della Pa fissano come soglia limite ammessa. Il potere disciplinare del datore di lavoro prescinde dai riscontri sulla rilevanza penale dell’atto. Quanto accadeva allo sportello dell’Ufficio di Via del Verano a Roma, presso l’Ufficio denunce di morte, era stato accertato. Esclusa la buona fede e dimostrata l’intenzionalità della condotta, è legittimo il licenziamento per giusta causa. Il comportamento dell’impiegato, di fantozziana memoria, che agisce più rapidamente se “incentivato” è tale da ledere l’immagine della Pa. Il cittadino è, infatti, indotto a dubitare del buon andamento e dell’ imparzialità della pubblica amministrazione.

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