VERSO LA RIFORMA

Cipolletta (Aifi): «I Pir devono finanziare economia reale e venture capital»

di Morya Longo

(Afp)

3' di lettura

La quadratura del cerchio è a portata di mano. Il matrimonio tra Pir e fondi di venture capital si può fare. Ne è convinto Innocenzo Cipolletta: in attesa della pubblicazione del decreto attuativo che dovrà dare vita ai nuovi Pir, il presidente dell’Aifi (l’associazione dei fondi di private capital) offre al «Sole 24 Ore» le soluzioni per superare ogni singolo “intoppo” che nel 2019 ha bloccato i nuovi Pir. Soluzioni che partono da un presupposto ben preciso: il tessuto economico italiano è costituito in gran parte da piccole e medie imprese non quotate in Borsa, per cui se si vuole far confluire parte del risparmio delle famiglie sull’economia reale da qui bisogna partire. Cioè dalle Pmi non quotate. «Bisogna sdrammatizzare - commenta Cipolletta - altrimenti non ci si muove più».

I nodi da sciogliere
Tutto nasce dalla riforma dei Pir: per favorire proprio l’afflusso di capitali alle Pmi, è previsto che d’ora in avanti dovranno investire il 3,5% in fondi di venture capital. In attesa del decreto attuativo che dovrebbe uscire entro il 30 aprile (ma potrebbe anche slittare), l’industria del risparmio gestito ha alzato la voce: questa imposizione - è l’accusa - è inattuabile, perché i Pir sono fondi aperti e soffrono se sono costretti a investire per legge in strumenti illiquidi come i fondi di venture capital. Ma Cipolletta spiega perché i problemi tecnici sono superabili.

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Il primo nodo è quello del Nav: i Pir, come tutti i fondi aperti Ucits, devono calcolare ogni giorno il valore dei loro asset (Nav, appunto). Ma se una parte del loro patrimonio è investita in fondi di venture capital, che non essendo quotati non hanno una valore giornaliero, calcolare il Nav per i gestori dei Pir diventa difficile. «Questo problema è superabile - spiega Cipolletta -. Esistono modalità per elaborare il Nav anche sui fondi di venture capital, calcolando il valore degli investimenti fatti da ogni fondo». Si chiama soft Nav. «I fondi di venture capital si valutano così - continua Cipolletta -. Certo, il decreto attuativo potrebbe disciplinare questo punto specificando per esempio quante volte il valore va aggiornato, ma tecnicamente è fattibile».

Il secondo nodo da sciogliere è quello della liquidabilità. I Pir sono fondi aperti: questo significa che i risparmiatori possono ogni giorno vendere la loro quota e uscire dall’investimento. Ma se i Pir investono in strumenti illiquidi come i venture capital, si crea una potenziale barriera in uscita. È vero che la normativa dei fondi Ucits lo consente, ma nessun gestore lo vuole fare. «Anche questo problema è risolvibile - spiega Cipolletta -. Innanzitutto esiste già un mercato secondario dei fondi di private equity. L’Aifi però auspica che nasca un fondo di fondi, per esempio dalla Cdp, che abbia anche il compito di favorire lo sviluppo di un mercato secondario». Insomma: un fondo di matrice pubblica «che lavori come operatore di ultima istanza». Come garante, in un certo senso, della liquidità.

Investire in economia reale
Ma il punto vero è un altro. I Pir hanno un incentivo fiscale perché sono nati per far confluire una parte del risparmio delle famiglie nell’economia reale. La prima versione dei Pir, però, per molti aspetti ha fallito: perché investendo quasi esclusivamente in società quotate (soprattutto su Aim o Star), in assenza di un boom di Ipo non ha portato grandi soldi alle Pmi. I vecchi Pir arricchivano le società di gestione e creavano potenziali bolle in Borsa, ma non portavano grandi vantaggi all’economia reale. Ecco perché è nata l’idea di obbligare i Pir a investire in fondi di venture capital.

In realtà esiste un altro strumento che più agevolmente potrebbe farlo: si tratta degli Eltif, cioè fondi chiusi che hanno proprio la vocazione degli investimenti illiquidi. Se si estendesse a loro lo stesso incentivo fiscale dei Pir - affermano in tanti -, si potrebbe quadrare il cerchio. Ma Cipolletta storce il naso: «Non vedrei nulla di strano se si desse agli Eltif un vantaggio fiscale. A quel punto, però, non vedo come si potrebbe mantenere lo stesso vantaggio per i Pir, se investissero solo in società quotate. Gli sgravi fiscali hanno proprio l’obiettivo di favorire l’economia reale, ma se i Pir si concentrassero solo su titoli quotati si finirebbe per considerare meno giustificati gli incentivi fiscali».

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