Circolare del Viminale: no ai centri troppo grandi e incentivi per i Comuni
di Marco Ludovico
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La scommessa si fonda su un principio banale: se oggi l’Italia accoglie, record assoluto, oltre 200mila stranieri - 175.485 adulti e 24.929 minori «non accompagnati» - presenti in 2mila600 Comuni, l’impatto sociale sarebbe minimo se i migranti fossero distribuiti sul totale di 8mila centri urbani.
Una sfida suggellata dal piano Anci (Associazione nazionale comuni d’Italia), modello statistico e operativo definito con il ministero dell’Interno ma ancora ai primi passi. Il ministro Marco Minniti lo ha convalidato e confermato - il testo è pronto da mesi - ma adesso va attuato. E il Viminale, proprio all’indomani dell’incontro di Minniti con i vertici dell’Anci, due settimane fa, ha diramato una nota a tutti i prefetti sul territorio per istruire, incoraggiare e stimolare un processo «che certamente incontrerà sul suo cammino ostacoli di natura ideologica o talvolta tecnica».
Il testo ai prefetti è quantomai attuale dopo la tragedia e le proteste nel centro di Cona in provincia di Venezia. Non nasconde, infatti, che nel sistema di accoglienza ci sono «strutture particolarmente stressate». Anzi, sottolinea «che le maggiori problematiche derivano esattamente da dimensioni di centri che non consentono un percorso di integrazione». Fino a determinare «una sorta di enclave etnica con numeri troppo alti di richiedenti asilo».
Proprio sul binomio sindaci-prefetti si fonda la costruzione del progetto di accoglienza diffuso sul territorio. Un asse, del resto, già sollecitato da Minniti per il contrasto al terrorismo fondamentalista. Dice il Viminale: «Non sembra che ci sia altra strada seria per proseguire sul terreno dell'accoglienza se non quella di ridurre l'impatto sui territori e di convincere, con la ragione e le opportunità che possiamo offrire, i Sindaci a essere protagonisti». La nota ricorda tra l'altro che «a disposizione dei Comuni che aderiranno (su base volontaria, ndr) sono previsti incentivi di natura economica, e soprattutto, la garanzia di una proporzionalità delle presenze rispetto alla popolazione residente».
Il ministero dell'Interno, in proposito, sta predisponendo la fotografia delle presenze degli immigrati nei Comuni al 24 ottobre scorso, data di pubblicazione in Gazzetta ufficiale del decreto legge in materia fiscale con gli incentivi ai Comuni che fanno accoglienza immigrati. Il processo definito dal piano Anci, tuttavia, è complicato. «Nessuno si illude» si legge nel testo ai prefetti del Dipartimento Libertà civili e immigrazione «che l'obiettivo che ci si è posti, particolarmente ambizioso, possa trovare attuazione immediatamente o in tempi rapidi».
Per forza. Il Viminale non lo dice, ma c’è una quota molto ampia di sindaci del tutto privi di qualsivoglia intenzione di aprire all’accoglienza dei migranti. Primi cittadini leghisti, di certo, ma anche non pochi del partito democratico. Certo, se per i Comuni fino a 2mila abitanti il piano prevede sei immigrati per centro urbano, l’impatto è proprio minimo. Ma resta sempre l’adesione su base volontaria.
Le complicazioni, tuttavia, sono molte di più e i prefetti dovranno fare miracoli in ogni provincia. Il modello Anci, tarato su ingressi annuali pari a 200mila migranti, in base alle ripartizioni regionali prevede alla fine una cifra definita spettante a ogni Comune, provincia per provincia. I prefetti tuttavia devono fare i conti anche con la cosiddetta clausola di salvaguardia, già sancita da una direttiva dell’allora ministro Angelino Alfano. L’indicazione di Alfano esclude i centri urbani già aderenti a un progetto Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) dall’assegnazione di ulteriori quote di stranieri da accogliere.
Saranno poi numerosi i casi di località dove i migranti già presenti sono a un livello superiore, anche di molto, alla cifra assegnata da Anci. Tanto che l’indicazione del Viminale è chiara: «Nessuno chiede che l’ampliamento si realizzi in pochi giorni, nessuno potrà chiedere che l’alleggerimento di strutture particolarmente stressate si realizzi contestualmente».
Lo scenario, insomma, è quello di un campo minato: tensioni e difficoltà possono esplodere in ogni momento, già accade. E tuttavia al ministero dell’Interno si spera che l’avviamento del processo avvenga ora: quando, con l’inverno, si abbassa la pressione migratoria. Ma l’andamento di novembre e dicembre scorso degli sbarchi ha dimostrato che non si può confidare più neanche sulla stagionalità dei flussi.
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