padri e figli / 2

Cittadini fino a un certo punto

Lo scontro anagrafico, che è diventato la nuova lotta di classe, non è una caratteristica dei nostri tempi né una conseguenza dell'emergenza pandemia. Il proverbiale rispetto che gli antichi mostravano nei confronti degli anziani non ha riscontro nei documenti della vita quotidiana. L'età dell'oro della terza età è solo un mito

di Giorgio Ieranò

La fotografa Stephanie Brunia ritrae se stessa insieme con suo padre. «Io e mio padre siamo nati entrambi di giovedì. Lui attribuisce una rilevanza particolare a questo tipo di dettagli. Io li vedo come dei retaggi tenui, assai meno significativi di quelli genetici che condividiamo, ma nonostante questo ci individuo dei percorsi sottilmente paralleli»

3' di lettura

È giusto dividere i cittadini per classi d'età? Dosare i diritti individuali sulla base dell'anno di nascita? Mentre si pianificava la “fase 2” della lotta al Coronavirus, a un certo punto, è emersa l'idea che gli anziani oltre una certa età dovessero restare chiusi in casa. Molti si sono indignati. Una schiera di autorevoli e non più giovanissimi intellettuali, capitanata da Massimo Cacciari e Carlo Ginzburg, è scesa in campo con un manifesto degli ultrasettantenni. Sostenendo che «il vero contagio, il più pericoloso virus» sarebbe quello di indurre i giovani «a considerare gli anziani una sottocategoria». E che «quello dell'età anagrafica non è un criterio che abbia un senso», perché «spesso l'età effettiva non corrisponde a quella riportata sui documenti».

Una difesa dei diritti degli anziani fatta da anziani che si sentono ancora giovani. Del resto, in una società dove i mass-media chiamano “ragazzi” i quarantenni, trattare i settantenni da vecchi è proprio da screanzati. Poi ci sono anche i vecchi che si sentono vecchi e, in questi giorni, più abbandonati di prima. Colpa dei tempi moderni, diranno alcuni: gli antichi, loro sì, che rispettavano gli anziani. Noi li trattiamo come scarti della società, ha lamentato per esempio il regista Carlo Verdone, mentre Enea mica ha piantato il padre Anchise in mezzo all'incendio di Troia: se l'è caricato sulle spalle e l'ha portato in salvo.

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Ma, se si esce dal mito e si entra nella vita quotidiana delle città antiche, non si incontra poi tutta questa grande devozione per i vecchi. Erodoto nota con un certo stupore che «in Egitto se i giovani incontrano un anziano gli cedono il passo o si alzano dalla sedia». Una cosa simile, diceva, da noi succede solo a Sparta, dove, non a caso, tra gli organi supremi c'era un “consiglio degli anziani”. Nella democratica Atene, ricordava invece Aristotele, chi ha superato i sessant'anni «è cittadino solo fino a un certo punto e non in modo compiuto».

Il criterio dell'anagrafe era discriminante. Tutto era organizzato secondo le classi d'età: ad Atene, chi non poteva fare il soldato, perché troppo giovane o troppo vecchio, non era considerato cittadino a pieno titolo. Gli anziani, insomma, erano di fatto una “sottocategoria”. Anche se ogni tanto spuntava un vecchio d'eccezione, come il novantenne Sofocle, e tacitava il figlio petulante, che l'aveva trascinato in tribunale per farlo interdire, recitando ai giudici il suo Edipo a Colono.

Da sempre, dunque, il ruolo e la funzione dell'anziano nella società appaiono precari e problematici. Se uno scorre le pagine della letteratura greca, trova l'ultracentenario Nestore dell'Iliade, attivissimo e fin troppo ciarliero nella sua smania di dare consigli a tutti. Ma, nell'Odissea, ecco il povero Laerte, il padre di Ulisse, che vive da recluso in campagna, con la mente offuscata, e «prega Zeus ogni giorno perché dal suo corpo svanisca la vita».

Solone celebrava i privilegi di una saggia vecchiaia: «Invecchio imparando ogni giorno qualcosa». Ma il poeta Mimnermo ribatteva: che senso ha vivere ancora quando non si possono più godere le gioie di Afrodite? E se, nel dialogo De Senectute di Cicerone, il vecchio Catone dice che «conta il carattere, non l'età», va registrata anche la replica del suo interlocutore Lelio: «A te la vecchiaia sembra più sopportabile perché godi di grande prestigio, sei agiato, e occupi una elevata posizione sociale: il che non può capitare a molti». Per il resto, da sempre ciascuno affronta la sua personale vecchiaia come il destino gli concede e come se la sente.

Il grande artista Emilio Isgrò ha ricordato di recente un aneddoto relativo a Giuseppe Verdi. Il quale, ogni tanto, andava a trovare una sua vecchia zia, porgendole il braccio perché non cadesse. Solo che, essendo anche il grande compositore ormai anziano, capitava che avesse lui stesso il passo malcerto, per cui la zia lo rimproverava: «Attento dove metti i piedi, Cretinetti!». Morale della favola, secondo la saggia ironia di Isgrò: “C'è qualcuno che è sempre più vecchio di noi, e questo ci dà speranza e fiducia”.

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