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Clausole Iva da disinnescare: una bomba a orologeria da 43 miliardi

Le cifre in ballo mostrano con chiarezza che anche per il biennio 2021-2022 il peso delle residue clausole Iva condizionerà non poco la politica di bilancio, restringendo i margini a disposizione per misure dirette al sostegno della crescita e dell’occupazione

di Dino Pesole

Clausole Iva da disinnescare: una zavorra da 43 miliardi

3' di lettura

Una bomba a orologeria da 43 miliardi. A tanto ammontano le clausole di salvaguardia sull’Iva con cui occorrerà fare i conti nel biennio 2021-2022. Operazione molto complessa, che richiederà l’individuazione di ingenti risorse qualora si decida, come avvenuto finora, di neutralizzare gli aumenti già iscritti nei futuri tendenziali di finanza pubblica.

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Per il 2020, con la manovra di bilancio si aumenta il deficit per 14,4 miliardi a fronte dei 23,1 miliardi di clausole Iva da sterilizzare. Si passa in tal modo da un deficit tendenziale dell’1,4% al 2,2% che costituisce il nuovo obiettivo programmatico. Risultano di conseguenza aggiornati e ricalcolati gli importi per gli anni successivi. Nel 2021, il conto delle clausole Iva si riduce a 18,4 miliardi dagli iniziali 28,8 miliardi. Nel 2022, si passa da 29 miliardi a 25 miliardi.

Le clausole Iva una pesante ipoteca anche per gli anni a venire
Le cifre in ballo mostrano con chiarezza che anche per il biennio 2021-2022 il peso delle residue clausole Iva condizionerà non poco la politica di bilancio, restringendo i margini a disposizione per misure dirette al sostegno della crescita e dell’occupazione.

Ci si chiede se non sia giunto il momento di affrontare di petto la questione. Si eviterebbe il ricorso a vere e proprie acrobazie contabili, a defatiganti trattative con Bruxelles, il tutto in nome di quello che è divenuto una sorta di tabù politico assolutamente intoccabile e trasversale a tutti i partiti. In realtà, come suggerisce da tempo la stessa Commissione europea il prelievo andrebbe spostato gradualmente dal lavoro ai consumi. Complicato farlo in periodi di contrazione dell’attività economica, ma la direzione di marcia dovrebbe essere quella. Certo non i 3 punti secchi di aumento dell’Iva che in mancanza di risorse alternative sarebbero scattati dal prossimo anno.

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La strada della rimodulazione
La rimodulazione di alcuni beni all’interno delle tre attuali aliquote (4, 10 e 22%) potrebbe essere riproposta quando si dovrà affrontare il nodo delle prossime clausole di salvaguardia. Politicamente scorretto? Evidentemente sì, se si considera il fuoco di sbarramento eretto finora contro una delle opzioni contenuta nelle prime bozze della manovra, in cui si prospettava appunto una rimodulazione di beni all’interno dell’attuale forchetta. Eppure la domanda pare obbligata: vale la pena di ipotecare una manovra economica dopo l’altra in nome della presunta “intoccabilità” dell’Iva? Più deficit oggi è niente altro che maggior onere che si scarica sugli esercizi finanziari futuri (e dunque su tutti noi). Prima o poi il conto andrà pagato.

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La spending review è la strada maestra
L’altra strada, certamente la più lineare e ortodossa, sarebbe di sterilizzare i prossimi aumenti dell’Iva (per la parte non sottoposta a rimodulazione) non in deficit ma con risorse “vere” provenienti da un serio programma di revisione e riqualificazione della spesa, cui andrebbero ad aggiungersi (ma solo a consuntivo, una volta accertati e incassati) i proventi della lotta all’evasione. Anche in questo caso si tratta evidentemente di operazioni ad alto rischio se si guarda esclusivamente al tornaconto in termini di consenso. La conclusione è che con ogni probabilità anche per i prossimi due anni si cercherà di attingere alla “flessibilità” europea. E non è detto che la strada sia come per quest’anno in discesa.

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