Clementi: «Perché su emergenza Covid e vaccini decide lo Stato, non le Regioni»
Solo una gestione intelligente, ordinata e condivisa ma unitaria del Piano vaccinale può consentire al nostro Paese di ritrovare il bandolo della matassa che sembrava un po' perso
di Vittorio Nuti
5' di lettura
Per l'ennesima volta, Stato centrale e (alcune) Regioni sono ai ferri corti per contrasti su come gestire l'emergenza sanitaria innescata dalla pandemia da Covid-19 e in particolare l'attuazione del Piano vaccinale nazionale che dovrebbe garantire agli italiani l'immunità di gregge entro l'estate. Facciamo il punto con Francesco Clementi, professore di Diritto pubblico comparato al Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Perugia.
L'attrito più recente arriva dalla Campania, dove il Governatore De Luca ha annunciato l'intenzione di vaccinare le categorie produttive dopo gli over 80, nonostante Roma indichi priorità diverse. C'è una via d'uscita da questa situazione?
La via d'uscita la troviamo in una recentissima sentenza della Corte costituzionale, la 37/2021, del marzo scorso (sulla legittimità dell'accentramento del controllo della pandemia rispetto alle misure di contenimento della diffusione del virus disposte dalla Regione autonoma Valle d'Aosta, ndr ), con cui i giudici hanno stabilito che la gestione della campagna vaccinale contro il Covid è nazionale. Cioè spetta allo Stato centrale, perché la responsabilità in caso di pandemia rientra nella profilassi internazionale su cui ha competenza il Governo. La confusione di questi mesi, ma forse dovremmo dire dell'ultimo anno, era basata sul fatto che si era immaginato di poter gestire la pandemia mantenendosi nell'ambito della tutela della salute che la Costituzione attribuisce in maniera condivisa allo Stato e alle Regioni. Questo non è possibile giuridicamente.
Insomma, dalla Corte è arrivato un perfetto assist al Governo Draghi, subentrato all'esecutivo Conte nella gestione della pandemia....
Attenzione: la Corte ha detto quello che a tanti appariva evidente, cioè che la pandemia non è affare locale, ma almeno nazionale. Questo non significa che stiamo assistendo a una sorta di “torsione monarchica”, mi passi il termine, nella gestione della pandemia, ma che le Regioni non possono non seguire le scelte di unità delineate dal Commissario Covid, il generale Figliuolo. Solo infatti una gestione intelligente, ordinata e condivisa ma unitaria del Piano vaccinale può consentire al nostro Paese di ritrovare il bandolo della matassa che sembrava un po' perso. Con la sentenza della Corte il volante di una macchina che sembrava senza una guida, in affanno, torna insomma a funzionare. E al tempo stesso il Paese ritrova un percorso di marcia chiaro. Che naturalmente, via via, può anche essere sottoposto a controlli e momenti di analisi in forma di dialogo tra il Governo e le Autonomie, cosa che peraltro sta già avvenendo in Conferenza Stato-Regioni. L'importante è non confondersi: nella gestione della pandemia la responsabilità decisionale, oggi, appartiene al Governo. Questo ha detto con chiarezza la Corte, e mi pare che con altrettanta chiarezza il Governo intenda assumersi la piena responsabilità del Piano vaccinale.
Come dobbiamo giudicare allora le scelte delle Regioni sulla gestione dell'emergenza e le priorità di vaccinazione? Sono da considerarsi in blocco illegittime?
Le scelte delle Regioni, sin qui, facevano riferimento a un anno e mezzo di gestione anche locale e decentrata, legittima, della dinamica vaccinale. Oggi è chiaro che ci troviamo di fronte a una transizione che si deve definitivamente compiere. Questa è la settimana chiave: alla fine di questo mese il passaggio sarà in qualche modo concluso e quindi avremo un nuovo panorama nel quale confrontare le scelte regionali in un'ottica unitaria nazionale.
L'ultima rimodulazione del Piano nazionale vaccini prevede oltre 4 milioni di vaccini che dovrebbero essere distribuiti alle Regioni tra il 15 e il 22 aprile, seguiti da altri 4 milioni di dosi tra il 22 e il 30 aprile.....
Questi sono i giorni più difficili, nei quali si misura se i piani regionali intervenuti sono all'altezza della sfida. In qualche caso, come si è visto, drammaticamente no, e allora è giusto provare a costruire nuove soluzioni che siano efficienti ed efficaci nella dinamica unitaria dell'intero Paese ma anche capaci di tener conto delle diverse realtà regionali che abbiamo di fronte.
In Germania la Cancelliera Angel Merkel sta pensando di varare una legge per garantire la supremazia del livello centrale rispetto ai Laender nella lotta del virus. Ci arriveremo anche noi?
No, da noi non credo che sarà necessario arrivare a tanto, anche perché abbiamo già una sentenza della Consulta che risolve il dubbio. Nel corso del 2020 si è molto discusso di un articolo della Costituzione, il 120, che in sintesi consente allo Stato di intervenire con i suoi poteri sostitutivi rispetto alle scelte delle Regioni, in determinate circostanze. Ma sappiamo bene che i poteri sostitutivi sono stati utilizzati ben poche volte con questa logica, perché si è pensato che fosse un'azione troppo ruvida, troppo dura. Oggi abbiamo la certezza che la pandemia è un tema di responsabilità del Governo perché rientra nella profilassi internazionale, e quindi il ricorso o all'articolo 120 o ad una clausola di supremazia, come richiesto da alcuni, è del tutto inutile, perché la Corte costituzionale ha indicato per tempo la strada giusta. Per fortuna non dobbiamo inventarci alcuna riforma costituzionale su questo fronte, ma semplicemente allinearci alla sentenza della Consulta, cercando di farlo bene, in maniera efficace.
Il decreto legge 44/2021 del 31 marzo scorso dispone la vaccinazione obbligatoria per il settore sanitario e sospensione dal lavoro per i no-vax. Anche questo riflette l'intervento della Consulta sul ruolo centrale del Governo?
È un provvedimento molto importante, perché interviene su uno dei temi maggiormente discussi in Italia, ovvero l'opportunità o meno di un obbligo vaccinale a fronte di una pandemia come quella che stiamo vivendo. La questione non è una novità assoluta, ricordo sul tema una sentenza della Consulta del 2018 (la n. 5/2018 sul riparto di competenze legislative in materia di vaccinazioni, ndr ), ma rispetto all'approccio precedente questa pandemia ha scosso nel profondo le scelte dei singoli rispetto alla scelta se vaccinarsi o meno.
In questo quadro il decreto legge, nel pieno rispetto della Costituzione - perché l'articolo 32 della Carta prevede espressamente una riserva di legge per decisioni di questo tipo - stabilisce alcuni punti direi di buon senso, il principale dei quali chiarisce che il personale sanitario che opera a tutela della nostra salute contro la pandemia deve essere vaccinato. Se rifiuta di vaccinarsi può essere messo a lavorare a distanza dal pubblico, arrivando anche, se questo non è possibile per ragioni sistemiche o per l'elevato numero dei dipendenti che rifiuta il vaccino, anche al demansionamento e alla sospensione dallo stipendio. Perché la regola che la Costituzione prevede è che la libertà dei singoli non può mai travalicare e mettere in pericolo la libertà della collettività. La giusta misura che la Costituzione prevede, e che oggi noi vediamo “fotografato”in questo decreto, è che si consente la libertà di non vaccinarsi ma che il prezzo di questa libera scelta è quello di essere spostato da dove si lavora abitualmente rispetto al pubblico.
Come dimostrano i continui conflitti tra Stato e Regioni sulla gestione dell'emergenza la pandemia può essere considerata un severo stress test per la tenuta del nostro ordinamento. Come ne esce la Carta costituzionale?
Lo stress test certamente c'è stato. Ed è emerso con chiarezza un dato di fondo: l'attuale Titolo V della Carta costituzionale, che regola la ripartizione delle competenze tra Stato, Regioni e Autonomie, non funziona, genera confusione, paure, dubbi, e questi devono essere fugati; non possono essere lasciati alla gestione esclusiva del giudice delle leggi, cioè dei giudici costituzionali. Quest'anno peraltro sono vent'anni dall'entrata in vigore della riforma del Titolo V, e gli italiani non devono pensare che la certezza su come vengono tutelati i loro diritti dipenda esclusivamente dal fatto che siano arrivati all'attenzione della Corte. Stiamo quindi parlando di un sistema che deve essere riformato. Si tratta ovviamente di una grande riforma, intendiamoci, ma dobbiamo avere il coraggio di dire la verità: e cioè che questa pandemia ha dimostrato come il riparto di competenze tra Stato e Regioni riguardo alla tutela della salute ma non solo, non può funzionare così, e quindi occorre tornare a riflettere su come modificarlo.
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