Clementino dall’Azione Cattolica al rap: «Adesso voglio vedere la luce»
L’artista napoletano racconta il suo rapporto con la fede: «Ho vissuto momenti bui, poi con Dio ho iniziato a parlare di questioni importanti»
di Dario E. Viganò*
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Rime in musica e freestyle con una formazione teatrale. Clemente Maccaro, in arte Clementino, è un rapper sempre più nazional-popolare. All’inizio il soprannome Iena (l’acronimo di “Io E Nessun Altro”): «Nelle gare mi sentivo simile a un animale. Mi prendevo tutto, ai miei avversari non lasciavo nulla». Poi una sorta di conversione e la volontà di lasciare in ogni canzone un messaggio positivo.
Nato ad Avellino nel 1982 e cresciuto nell’entroterra napoletano tra Cimitile e Nola, Clementino è un grande appassionato di teatro e della commedia partenopea. «Senza il teatro, passione trasmessa dai miei genitori, non avrei fatto il rap», dice del cantante che dal 2020 è anche giudice del programma tv “The Voice Senior”. Ama lo sport, il calcio e il basket, tifa Napoli, gioca a bowling, a freccette e non disdegna la PlayStation. «Fare attività sportiva mi aiuta a stare meglio quando sono in sala di registrazione».
Speciale il rapporto con la Nazionale italiana di calcio, vincitrice degli Europei 2020: «Su Rai 1 avevo aperto l’avventura europea, cantando Cos Cos Cos insieme alla squadra, e con questa canzone sono stato un po’ il loro portafortuna».
Adora la cucina e non rinuncia ai piatti più gustosi. La pasta, i piselli e le polpette sono il suo forte, ma il piatto preferito sono gli spaghetti alle vongole. La musica è una questione di famiglia: suo fratello suona il blues, sua sorella invece è una cantante lirica. La carriera, ricca di successi, non gli ha risparmiato momenti no. Ha fatto un percorso in una comunità per la dipendenza dalla cocaina. Ne è uscito più forte di prima, grazie anche alla fede. Ha diversi tatuaggi: uno è un semplice numero 21, come le lettere dell’alfabeto con cui scrive i suoi testi, profondi e mai banali.
Clementino, lei è cresciuto in un paesino, Cimitile, in provincia di Napoli, che è considerato la Pompei cristiana.
Cimitile è il cimitero di Nola. Nola è la città più grande di questa zona della Campania. A Cimitile ci sono le basiliche paleo-cristiane e i cimilitesi vengono chiamati gli “scarpisasanti”.
Tradotto: i calpesta santi. Quindi, visto che ci sono le basiliche, dicono che è come se calpestassimo i santi… (ride).
È vero che ha frequentato, vivacemente, l’Azione Cattolica Ragazzi?
Negli anni ’90 non c’erano Instagram, Facebook o i social. Quindi la palestra, le piazze o l’Acr erano i punti di ritrovo per i ragazzi, dove c’erano tante attività da fare. Come al solito ero quello che si occupava della musica e suonavo con la chitarra.
Lei ha una famiglia molto solida alle spalle. Suo papà lavorava in banca, sua mamma insegnava matematica. Entrambi con una grande passione per il teatro. Sono stati loro a spingerla verso il palcoscenico?
Sorvoliamo su come andavo in matematica, lasciamo stare… (ride). Sicuramente loro sono stati i primi ad avvicinarmi ad un certo mondo: facevano da anni il teatro comico e brillante, il teatro di Eduardo Scarpetta.
Sono nato nelle quinte dei teatri e preparavo le commedie con i fili degli altri attori. Poi piano piano mi sono avvicinato più alla musica che al teatro. Sono sempre stato un’amante del freestyle, delle metriche, delle rime, dei beat. Nel contenuto sono super pacifico, non sono mai stato a favore della violenza: ho cercato di utilizzare la violenza nelle rime, ma non con uno scopo pericoloso.
Nei suoi testi c’è sempre grande attenzione ai temi sociali. Ha fatto anche degli incontri nelle carceri. Cosa le hanno lasciato?
Se una persona ha sbagliato, è giusto che paghi. Credo, però, sia importante regalare cinque minuti di sorriso anche a loro.
Dimostra grande sensibilità. Forse è anche per questo che nel programma tv “The Voice” non sembra un giudice severo?
Il fatto è che non mi piace giudicare. Sono un giudice che non sa e non vuole giudicare.
Però si definisce un sognatore ribelle…
Sono sempre stato uno con la testa fra le nuvole. La mia professoressa, a scuola, quando spiegava, mi agitava le mani davanti agli occhi e applaudiva con veemenza davanti a me per svegliarmi. Ma io sogno ancora oggi. Tempo fa scrissi una canzone che si chiama Un palmo dal cielo, la dice lunga sul mio modo di essere... Per un periodo mi sono appuntato con carta e penna i sogni fatti. E alla fine tutti questi sogni sono diventati una canzone: li ho messi insieme.
Poi ci sono state canzoni che hanno segnato il passaggio a un nuovo capitolo della sua vita. Ha avuto un successo meritatissimo, ma come può capitare a tanti, quando si è molto giovani, si rischia di scivolare e commettere degli errori. Ha definito quel momento no della sua esistenza “una caduta nel buio”.
Tutti noi nella nostra vita abbiamo avuto dei problemi di varia natura. Bisogna saperli affrontare. Si cade e ci si rialza. Il campione è quello che si rialza, non quello che non è mai caduto...
Si è rialzato quando ha visto le lacrime di sua mamma?
Non è la lacrima che è grave in sé per sé. Lo è piuttosto l’espressione abbattuta che avevo provocato. Anche quelle sono lacrime.
Una vicenda che fa pensare al Vangelo di Marco, quando dice: “Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!”. La conversione che comporta un cambiamento radicale dalle proprie abitudini.
Una volta, in un’intervista, mi chiesero se avessi mai provato a parlare con Dio. Risposi di sì, sia da piccolo che da grande. Solo che da bambino chiedevo alcune cose, più frivole, anche se avevo grandi speranze. C’era la perenne questione, o meglio dilemma, di riuscire a diventare un grande artista e quando mi sono sentito forte ho avuto una discesa anche ripida. Chiedevo di diventare un grande cantante e rapper. Poi con Dio ho iniziato a parlare di questioni più serie e importanti.
Un rapporto vivo, comunque, con la fede.
C’è sicuramente Qualcosa di più alto di noi che ci protegge. E io ci credo. Mi piace molto stare da solo, ritrovare me stesso, passare del tempo col mio io e ritrovare la mia interiorità. È un momento di fede e spiritualità, di riflessione e di preghiera che mi fa stare bene. Mi fa essere contento e continuo a ringraziare per essere ancora in piedi. E lo voglio essere ancora per un bel po’, voglio vedere la luce, di buio ne ho visto tanto.
Tornando alla musica, c’è una canzone molto bella del 2015 con Pino Daniele, Da che parte stai, in cui prende una posizione decisa contro la guerra.
È stato uno dei traguardi più importanti della mia vita. Per un ragazzo napoletano conoscere, suonare e incidere una canzone inedita con il grande Pino Daniele non ha prezzo. Il testo l’ho scritto in Birmania quando partecipavo al programma “Pechino Express”. Ero sulle palafitte, in posti in cui la gente non ha una lira, ma li vedevo super sorridenti. Non avevano soldi ma avevano tutto… Così scrissi questa canzone. La feci sentire a Pino Daniele e facemmo questo pezzo insieme.
Lei è nato il 21 dicembre, papa Francesco il 17. Siete dello stesso mese. Lo sapeva?
Abbiamo una cosa in comune (ride). Ho suonato per lui e sono stato onorato di averlo incontrato. Conservo ancora la foto. Se voglio fargli un augurio rappando? Certo: “Io quando faccio il rap sono classico/ ricordo quando ho suonato per papa Francesco al Circo Massimo/ non ci stanno problemi, quando faccio il rap stiamo sicuri/ papa Francesco tanti auguri!”.
Ecco fatto.
*Questa intervista è un’anticipazione dal libro «Musica. Note di Infinito» di Dario E. Viganò in libreria dal 10 ottobre per Edizioni San Paolo, in cui l’autore intervista personaggi del mondo della musica sul loro rapporto con la fede
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