Clima, ecco dove hanno sede le aziende europee più allineate al green per fatturato
È la Spagna a detenere il primo posto con il 19%. Italia quinta al 14%. È quanto emerge dal report di EY dal titolo EU Taxonomy Barometer 2023
di Vitaliano D'Angerio
I punti chiave
3' di lettura
È spagnola ed opera nel settore dell’energia e dei servizi di pubblica utilità. È l’identikit dell’azienda europea che nel 2022, per fatturato, era maggiormente allineata agli obiettivi della tassonomia ambientale, il sistema di classificazione delle attività economiche ecocompatibili. È quanto emerge dal report di EY, EU taxonomy barometer, che analizza 350 società quotate europee di 17 Paesi, verificando chi ha comunicato l’allineamento con gli obiettivi della classificazione green decisi dall’Unione europea. La Spagna, dunque, con il 19%, è il Paese al primo posto per società con il giro d’affari più green. Seguono Belgio (17%), Austria (16%) e Lussemburgo (15%). Italia quinta (14%) a pari merito con la Finlandia. A livello di settori è quello del power & utilities ad avere i ricavi (30%) più allineati alla tassonomia ambientale.
Obiettivi, ammissibilità e allineamento
Gli obiettivi della tassonomia ambientale europea sono sei:
1) la mitigazione degli effetti del climate change;
2) l’adattamento al climate change;
3) l’uso sostenibile e la protezione dell’acqua e delle risorse marine;
4) la transizione verso un’economia circolare;
5) la riduzione degli sprechi e il riciclo dei materiali;
6) il contenimento dell’inquinamento e la tutela degli ecosistemi.
Non tutte le attività economiche possono contribuire al raggiungimento di questi obiettivi: nel caso si rientri in tale ambito, così come deciso dall’Unione europea, l’attività viene definita come “ammissibile” (eligible).
Allo stesso tempo, l’ammissibilità non è indice di sostenibilità ambientale ma, più semplicemente, segnala che quell’attività ha il potenziale per essere allineata alla tassonomia green. In altre parole, per ottenere il timbro di ecosostenibilità, che si traduce per Bruxelles con la parola “allineamento” (aligned), bisogna soddisfare 3 criteri aggiuntivi:
1) contribuire in maniera sostanziale ad almeno uno dei 6 obiettivi della tassonomia
2) non produrre significativi impatti negativi su nessuno degli altro obiettivi
3) soddisfare le salvaguardie minime sui diritti umani (Linee guida Ocse/principi guida Onu).
I risultati del report di EY
Bruxelles chiede che la percentuale di ammissibilità e di allineamento venga calcolata in percentuale sulla base di 3 indicatori: fatturato (turnover) appunto, spese in conto capitale (Capex) e spese operative (Opex).
Il Barometro di EY segnala che in media, in termini di fatturato il 25% delle aziende monitorate è ammissibile e l’8% è allineato; a livello di Capex, in media il 36% è ammissibile e il 15% è allineato; infine sul versante Opex il 28% è ammissibile e il 12% è allineato. «I consigli d’amministrazione delle aziende sono chiamati a puntare a un maggiore allineamento alla tassonomia – ricorda Roberto Giacomelli, EY climate change and sustainability services leader in Italia –, sapendo che potranno attingere, per i propri piani di investimento, dai finanziamenti del Pnrr e dalle altre forme di green finance pubbliche e private. Non solo. I finanziamenti per aumentare l’allineamento alla tassonomia europea potranno essere forniti anche dal framework dei green bond europei».
Revisione contabile e difficoltà interpretative
Nel barometro di EY vi sono due ulteriori elementi da considerare. Soltanto il 19% delle aziende monitorate ha scelto di sottoporre a revisione il documento sulla tassonomia. Da segnalare che la trasparenza sull’ammissibilità e sull’allineamento è obbligatoria sulla base delle normative Ue. Non è obbligatorio invece essere allineato: bisogna però rendere conto al mercato delle proprie scelte con tutte le conseguenze reputazionali del caso.
«Essere allineati a tali criteri – spiega Giacomelli – non è obbligatorio ma per le aziende rappresenta un’opportunità di rilievo per dimostrare il proprio impegno sulle tematiche di sostenibilità».
C’è gran lavoro in vista per le aziende quindi. Anche perché al momento sono coinvolte nella raccolta dati soltanto quelle con un numero di dipendenti superiore a 500. Ma a breve non sarà più così. «Nel 2025 quasi 4 mila aziende italiane saranno obbligate alla redazione di una relazione di sostenibilità secondo la nuova Corporate sustainability reporting directive (Csrd) – evidenzia Giacomelli –. Saranno aziende, quotate e non quotate, con più di 250 dipendenti, oltre 40 milioni di fatturato o 20 milioni di euro di attivo di stato patrimoniale. Ebbene, nonostante la tassonomia sia una questione contabile, l’interpretazione della normativa non è affatto semplice e vi è una certa preoccupazione tra le aziende che andranno supportate in questa fase di trasformazione».
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