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Climate change: il bivio tra la vendita delle attività inquinanti o la chiusura

Mitch Reznick (Federated Hermes) spiega quanto è difficile essere veramente green per un’azienda. Cedere settori che emettono CO2 non cambia nulla per il pianeta

di Vitaliano D'Angerio

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3' di lettura

Cedere le attività inquinanti ad alto tasso di emissione di CO2 sicuramente migliora l’impronta di carbonio dell’azienda. Cosa cambia invece per il pianeta Terra a livello di inquinamento complessivo? È quanto sottolinea nel suo report Mitch Reznick, responsabile della ricerca e della sostenibilità nel settore obbligazionario per la divisione internazionale di Federated Hermes (625 miliardi di dollari in gestione). «Valutare l’impatto complessivo, finanziario e sostenibile, di una società che chiude o si libera di un’attività ad alta intensità di carbonio è complesso. Per esempio, una società può ridurre rapidamente la propria impronta di carbonio attraverso una dismissione, ma se quell’attività “inquinante” continua a prosperare nelle mani dei nuovi proprietari, l’ambiente non ne beneficia in alcun modo».

Cessione o Liquidazione?

Diventare green diventa così sempre più difficile per un’azienda. A breve, il 14 luglio, la Commissione europea svelerà il piano “Fit for 55” per raggiungere il suo obiettivo di ridurre del 55% le emissioni di carbonio entro il 2035. Ci saranno finanziamenti pubblici e privati. Ma, come viene spiegato da Reznick, non sarà sufficiente migliorare l’impronta di carbonio di un’azienda se si vuol percorrere la strada giusta per il contenimento del riscaldamento globale.

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«A prima vista, una cessione può sembrare abbastanza positiva, almeno per l’impronta di carbonio della singola società – evidenzia lo strategist di Federated Hermes –. L’operazione, però, ha un impatto netto negativo sulla decarbonizzazione del pianeta nel suo complesso. Quindi, prima di premiare una società per aver ridotto la propria impronta di carbonio attraverso la dismissione di attività inquinanti, è importante capire il destino di queste attività». E aggiunge: «Dal punto di vista del cambiamento climatico, per noi è importante capire qual è l’impatto di una decisione in termini di decarbonizzazione complessiva dell’economia rispetto, per esempio, alla semplice cessazione di quell’attività».

Valutazione finanziaria

Non tutto però è valutabile dal punto di vista delle emissioni di CO2. Vi è una dimensione finanziaria che non può essere sottovalutata. D’altronde né i fondi né le aziende fanno beneficenza. «Un altro aspetto, poi, è la valutazione finanziaria. Come investitori, infatti, siamo obbligati a determinare la materialità di qualsiasi impatto finanziario che avrà la dismissione di attività ad alta intensità di carbonio – spiega Reznick –. E confrontarlo con l’impatto di un’eventuale chiusura. In alcuni casi il disinvestimento potrebbe ridurre l’intensità di carbonio delle operazioni società e beneficiare l’ambiente, ma essere dannoso per il suo profilo finanziario, o viceversa».

Allo stesso tempo bisogna valutare anche l’impatto sull’occupazione dalla chiusura di un’attività economica. Tutti elementi dunque da mettere sui piatti della bilancia al momento di fare una valutazione sulle attività che emettono CO2.

Da non dimenticare poi, che almeno per l’Europa, dal primo gennaio 2022, entrerà in vigore la tassonomia green per le parti di “mitigazione” e “adattamento”. Un’altra sfida importante per le imprese che operano nel Vecchio continente.

Conclusioni

Non è semplice dunque far la scelta giusta a livello di portaglio. Lo strategist di Federated Hermes sottolinea l’importanza di «determinare quanto siano responsabili la liquidazione o la cessione nel contesto dell’economia più ampia, analizzando l’impatto finale della transazione sulla società madre e sull’ambiente».

A quel punto bisognerà fare un ragionamento più ampio. «Queste conclusioni si aggiungono agli altri criteri di sostenibilità della società madre, su base complessiva e con una visione a lungo termine. Una simile analisi rappresenta quindi un quadro molto più completo che trasmette la serietà con cui la società sta decarbonizzando, ci permette di assegnare punteggi di sostenibilità più accurati e assumere decisioni di investimento ancora più consapevoli».



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