Climate change, due gradi in più costano come 27 volte il debito pubblico italiano
Secondo stime per difetto, il conto per un paio di gradi di riscaldamento si aggira intorno ai 69mila miliardi di dollari entro il 2100: una cifra enorme, che scende a “soli” 54mila miliardi di dollari nel caso l’aumento della temperatura si fermasse a un grado e mezzo. Ma il vero problema sarebbe un riscaldamento superiore ai due gradi, che innescherebbe il temuto “warming feedback loop”. Con esiti davvero imprevedibili
di Enrico Marro
2' di lettura
C’è poco da scherzare: più tempo aspettiamo a darci seriamente da fare per combattere il climate change, più salato sarà il conto per tutti. Parola di quella Moody's Analytics che qualche giorno fa ha pubblicato una nuova analisi sulle ricadute economiche del mutamento climatico (“The Economic Implications of Climate Change”). Sulla base anche delle proiezioni dello scorso autunno dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, Moody’s Analytics calcola che il costo di un innalzamento della temperatura di due gradi centigradi si aggirerebbe intorno ai 69 trilioni di dollari entro il 2100, circa 27 volte il debito pubblico italiano.
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Un conto salatissimo, che scenderebbe a 54 trilioni di dollari qualora l'aumento della temperatura si fermasse a un grado e mezzo. Cifra comunque mostruosa, ma che almeno eviterebbe il peggio: secondo diverse scuole di pensiero scientifiche un innalzamento di oltre due gradi potrebbe contribuire a innescare il temuto “warming feedback loop” , micidiale scenario in cui il pianeta reagirebbe all’aumento della temperatura amplificando il riscaldamento, e rendendo inutile ogni (tardivo) sforzo per abbattere le emissioni.
Tra l’altro la stessa Moody's Analytics ammette che le stime sull'impatto economico sono per difetto, poiché non tengono per esempio conto delle catastrofi naturali , che nel 2017 nei soli Stati Uniti sono costate oltre 300 miliardi di dollari.
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Sul climate change il mondo dell’economia e della finanza, abituato a pensare solo a medio termine, non dev’essere miope. Come spiega il capoeconomista di Moody's Analytics, Mark Zandi, «gli effetti più draconiani del cambiamento climatico non verranno avvertiti fino al 2030 e oltre, e non diventeranno particolarmente pronunciati fino alla seconda metà di questo secolo».
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Buona parte degli stessi modelli previsionali non si spingono oltre i prossimi trent’anni, spiega Zandi, ma è dal 2050 in poi che la situazione potrebbe davvero sfuggirci di mano se non avremo lavorato sodo. «Il mondo di economia, finanza e politica si concentra sul prossimo anno - continua il capoeconomista di Moody's Analytics - o al massimo sui prossimi cinque, e questo rende difficile una risposta immediata e molto determinata al problema».
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Secondo il report, il cambiamento climatico impatterà sull'economia mondiale attraverso sei canali: aumento del livello dei mari, peggioramento della salute, diminuzione della produttività del lavoro, turismo, domanda di energia e soprattutto agricoltura.
Il riscaldamento globale e l’aumento dell’umidità sono destinati a colpire con durezza le economie dei Paesi emergenti localizzati in zone climatiche calde (come Algeria, Malesia, Filippine e Thailandia) ma anche quelle di Stati produttori di petrolio (in particolare Arabia Saudita, Qatar e Oman).
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