Co-abitare nella terza età, rimuovere gli ostacoli culturali per aumentare l’offerta
In Italia solo il 6% delle strutture residenziali per anziani è rivolto alla fascia autosufficiente. La domanda ci sarebbe ma è latente, anche perchè l’offerta (scarsa) è concentrata nei centri urbani e vanno vinte le resistenze di una popolazione già poco propensa alla mobilità nel corso della vita
di Laura Dominici
I punti chiave
4' di lettura
In Italia solo il 6% delle strutture residenziali per anziani è rivolto alla fascia autosufficiente. A dichiararlo è Elena Molignoni, responsabile business unit immobiliare di Nomisma, che aggiunge: «L’offerta di una nuova forma di residenzialità – che consenta ai residenti di mantenere uno stile di vita autonomo, con il supporto di servizi offerti da personale specializzato – ha le sue radici nella tipologia cosiddetta del senior serviced residence, già molto diffusa negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, in particolare del Nord Europa, ma che fatica a diffondersi in Italia».
Una delle principali cause va ricondotta ad un tema culturale. «L’Italia è un Paese di proprietari e la mobilità abitativa nell’arco della vita di una persona è piuttosto bassa e tendente allo zero», sottolinea la manager.
Come fare allora per rendere sostenibile questo prodotto immobiliare? Secondo l’esperta di Nomisma, occorre «stimolare, formare e generare una domanda per ora latente. Analogamente alle esperienze diffuse nel settore del social housing, si deve intervenire a monte dell’attività di progettazione e di investimento, favorendo la nascita di quella che sarà la nuova comunità dei residenti».
Gli interventi
Facendo un identikit degli interventi di senior living promossi in Italia, si può dire innanzitutto che la localizzazione coincide con le città capoluogo di regione o provincia, in zone centrali e la tipologia prevalente è quella del bilocale con una dimensione media di 50-60 mq. «In un nuovo sviluppo – sottolinea Molignoni – si può destinare circa il 10-15% delle residenze ad uso temporaneo».
La catchment area è abbastanza circoscritta e rientra nei 10-15 km rispetto a quello che è l’attuale luogo di residenza.I servizi di base sono la reception operativa h24, l’accesso libero alle strutture comuni, ossia bar, ristorante, sala lettura e tv, palestra, piscina. Per quanto riguarda poi i servizi opzionali, questi vanno dalla cura della casa e della persona alla ristorazione, all’animazione, fino alla sicurezza e al trasporto. Gli spazi comuni occupano almeno il 10% della superficie complessiva.
Il target di riferimento
Uno studio di Nomisma spiega che il reddito medio annuo degli anziani utenti si inserisce in un range compreso tra i 20mila e i 30mila euro l’anno. Ma cosa ne pensano gli investitori di questa asset class? «Possiamo dire che la scelta degli investitori interessati risponde a strategie di diversificazione degli asset – commenta Molignoni –, che rappresenta un segmento anticiclico, essendo diretto ad un bisogno essenziale e non strettamente correlato alla congiuntura economica. La strategia risponde poi ad una domanda crescente di servizi e soluzioni abitative generata dall’aumento della percentuale di popolazione anziana che può garantire una sufficiente massa critica per poter sviluppare economie di scala. Queste strutture generano una redditività stabile tipicamente nel medio-lungo termine, garantita dai canoni di locazione e dai servizi di base ed opzionali. I rendimenti sono mediamente competitivi rispetto agli altri mercati di investimento».
Manca l’identità
Per Andrea Mancini, head of living investment properties di Cbre Italy, «il senior living non è tanto una asset class alternativa, in realtà non esiste. Abbiamo evidenza di poche strutture che sono state realizzate con questa specifica destinazione d’uso».
Un esempio è la struttura di Bergamo che il gruppo Percassi ha aperto con la francese Aegide Domitys, che la gestisce. Si tratta di una struttura innovativa, prima realizzata in Italia (124 appartamenti) inaugurata nel 2020 ed è la prima dedicata al 100% al senior living. Altre soluzioni abitative sono ibride e diffuse, «con una componente di Rsa assistenziale – spiega Mancini – e una parte di senior living dedicata ad over 65 che non hanno bisogno di assistenza medica e trascorrono la propria vita in compagnia di altre persone nella medesima condizione, godendo di vantaggi in termini di servizio, come la palestra, il pranzo preparato e una serie di confort di gestione operativa e professionale”. Interessi stranieri in arrivo. Sono diversi – prosegue Mancini – gli operatori internazionali specializzati che stanno guardando al mercato italiano con interesse e che vogliono entrare nella gestione di questa forma residenziale in affitto che offre standard qualitativi alti. Questi operatori stanno puntando alle partnership con i fondi immobiliari che fanno da investitori».
Gli esempi stranieri vanno dal Catella Group a Primonial a Sweet Life. «Molto spesso – avverte l’esperto di Cbre – queste soluzioni ibride in Italia sono sviluppate e gestite da investitori privati o non istituzionali e sfuggono ad una mappatura». Attualmente c’è un operatore tedesco che sta guardando al mercato italiano da un paio d'anni e vuole creare un senior living a tema leisure per effettuare soggiorni anche di un mese o più e le aree sotto osservazione sono Siena e Lago di Garda. Con l’aumento dei costi di costruzione, «che hanno subito incrementi del 30% rispetto ad una decina di mesi fa – commenta Mancini – i prezzi di realizzazione si sono attestati tra i 1.400 e i 1800 euro al mq. I rendimenti medi in Europa vanno dal 4 a 6%, leggermente più alti del multifamily. Per quanto riguarda i canoni di locazione la quota media mensile per un trilocale può andare dai 1500 ai 2500 euro circa».
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