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Code week 2023: Apple fa lezioni di coding, ecco perché servono già a scuola

Il programma annuale promosso dalla Commissione europea è al decimo anno: mira a portare il coding e l’alfabetizzazione digitale a tutti

di Luca Salvioli

4' di lettura

Siamo nel pieno della settimana europea della programmazione (EU Code Week), che finirà il 22 ottobre: l’obiettivo della Commissione è «incoraggiare i giovani a cimentarsi con la programmazione e a intraprendere una carriera nei settori della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM)».

Per l’iniziativa è stato predisposto un sito, mentre Apple ha organizzato un incontro con alcuni giornalisti per illustrare le sue attività di formazione sul tema. Durante queste settimane viene potenziato il programma Today at Apple, ovvero le sessioni che si tengono negli Apple Store di tutto il mondo e che in media sono 15mila a settimana.

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La rete europea degli store viene messa a disposizione per aiutare chi lo desidera a imparare a fare coding, con un numero maggiore di sessioni specifiche dal titolo «Scrivi il codice della tua prima app» e «Impara a programmare con Swift Playgrounds» (Swift è il codice di programmazione di Apple, ndr), già disponibili negli Apple Store di tutta Europa.

L’esperienza è disponibile anche per classi di scuola e gruppi di colleghi, con prenotazioni di gruppo in presenza o online. Apple spiega che per quanto riguarda la formazione coding in età scolastica, è consigliato di iniziare dagli 8 anni in su. Che il successo dipende dalla curiosità dello studente ma soprattutto, in ambito scolastico, dalla disponibilità e interesse degli insegnanti.

Apple mette a disposizione anche i progetti “Everyone can code”, che forniscono a chi insegna o fa formazione le risorse in grado di guidare chi studia a sviluppare le competenze di base del coding. Questi progetti, disponibili per insegnanti di tutta Europa (in inglese, francese, tedesco, italiano, spagnolo, olandese, svedese e norvegese), introducono Swift Playgrounds e SwiftUI.

Non è necessario essere un insegnante di informatica per utilizzare i progetti “Everyone can code”. Creati per gli studenti e le studentesse della scuola secondaria, i progetti per lo sviluppo di app comprendono un’introduzione a SwiftUI, la tecnologia che permette di costruire app con meno codice, in modo più istintivo e visuale.

Su questo tema abbiamo posto alcune domande via mail a Giovanna Busconi. La docente è una “Apple Distinguished Educator” e ha alle spalle 40 anni di insegnamento, una ventina da formatore e 10 da nonna. Questo programma di Apple riguarda docenti di ogni parte del mondo che «si impegnano a immaginare sempre nuovi modi di utilizzare iPad e Mac, per ispirare i loro colleghi e personalizzare l’apprendimento di ogni studente e studentessa» spiega l’azienda sul sito dedicato.

«Ho lavorato con bambini dell’infanzia così come con ragazzi della secondaria di secondo grado per fare dei corsi che portino a una certificazione riconosciuta da un punto di vista lavorativo» spiega Giovanna Busconi.

Il percorso dipende dall’obiettivo. «Quello che a me piace di più è il percorso che mi permette di far capire agli insegnanti della classe cosa si può fare e fare in modo che loro diventino autonomi nel farlo e, soprattutto, che ne capiscano la potenzialità. Poi ci sono anche interventi che possono essere un po’ più diluiti nel tempo e interventi che devono essere più brevi, ma l’importante è far lavorare i ragazzi in maniera pratica, fargli fare qualcosa perché questo è quello che dà a loro in assoluto la maggiore soddisfazione».

Perché ha senso insegnare il coding?
«In generale si dice che bisognerebbe inserire il codice a scuola perché prepara per il lavoro del futuro, perchè molti lavori sono fondati sulla programmazione, perché ci sono lavori che mai ci saremmo immaginati anni fa e adesso sono realtà… questo tipo di motivazione è certamente valida, nessuno può negarlo, ma io, quando parlo di coding, cerco di cambiare anche punto di vista. A me piace partire sempre dalla didattica. Cosa offre il coding alla didattica? Cosa ha in più il coding? Io credo che offra tantissimo».

Secondo la docente è innanzitutto «un esercizio di problem solving». Inoltre «è una professione di per sé collaborativa. Credo che sia un tipo di lavoro che, anche per essere competitivo sul mercato, deve essere fatto in gruppo e deve avere tanti tipi di input ed essere fatto collaborativamente con competenze diverse. E’ un lavoro di condivisione e di ricerca: il programmatore prima cerca se c’è qualcosa di simile a quello che deve fare per poi migliorarlo. È un lavoro di creatività».

E poi c’è anche «il tema dell’errore. L’errore in informatica è l’occasione per migliorare il proprio prodotto e quindi nella scuola dove l’errore ha sempre questa aura negativa, possiamo in qualche modo lavorare anche su questo aspetto e rivalutare l’errore in senso positivo. Se non commettessimo errori non avremmo niente da imparare».

Cosa pensa del rapporto tra giovani e tecnologia?

«Io sono convinta che la scuola abbia anche il compito di trasmettere ai ragazzi il concetto che scienza e tecnologia sono termini neutri. È poi l’uso che ne facciamo noi che li fanno diventare una cosa “buona o cattiva”. Un altro aspetto che secondo me dobbiamo trasmettere ai ragazzi è che la tecnologia è uno strumento. Quindi l’iPad a scuola così come il telefono, deve essere qualcosa che ci serve per migliorare il nostro stare o migliorare il nostro fare. Nel caso di iPad a scuola, stiamo sempre parlando comunque di dispositivi gestiti dalla scuola / insegnante, quindi con un utilizzo controllato e connesso ad un percorso didattico».

Da che età secondo lei è corretto che i ragazzi abbiano uno smartphone?
«Credo che il telefono, nel caso specifico, debba essere dato al ragazzo se serve che lui lo abbia. Per esempio, se io abito in campagna e mio figlio che frequenta le medie va a scuola prendendo i mezzi pubblici, ritengo che possa essere utile che lo abbia. Diversamente se il bambino, alla stessa età, va a scuola a 100 m da casa, non vedo perché debba avere un cellulare in mano. Quindi io parto sempre dalla domanda “serve?” Se sono piccoli forse no. Anche perché credo che quando sono piccoli facciano fatica a gestire questo tipo di rapporto. Io personalmente credo che abbia senso che un ragazzo lo abbia alle medie o meglio ancora alle superiori».

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