Colleziono maschere e sculture Yoruba: sono un pezzo della mia famiglia
Il premio Nobel per la letteratura racconta come un oggetto può diventare il tramite di un legame con la propria terra e le proprie origini
di Wole Soyinka
4' di lettura
Sono nato e cresciuto in Nigeria, e la mia collezione di oggetti antichi è composta in gran parte di opere d'arte Yoruba, di maschere e sculture ancestrali dell'Africa occidentale. Le ho raccolte nel corso di quasi 60 anni. Ho dei pezzi, specialmente tra i bronzi della collezione, che si stima risalgano al XVII secolo, ma a me non importa molto della loro età. Adesso abito nella città in cui sono nato, ma viaggio e ho una casa in America. Se potessi, vivrei sempre circondato dalle mie opere d'arte. Sono un family man, un uomo per cui la famiglia è la cosa più importante, e loro fanno parte della mia famiglia allargata. Quando le contemplo, a volte mi astraggo completamente, diventano un mezzo, uno strumento, per l'introspezione; e per alcune delle divinità che rappresentano – come il dio Ogun, per esempio – l'isolamento è importante. Ogun si ritira sulle montagne e fugge via dall'umanità.
Questo è un tratto che ho scoperto molto presto in me stesso. Ogun è la mia musa, la mia divinità protettrice. Da un lato è un lirico, è il dio della poesia. Ma al tempo stesso è uno che forgia il metallo, è il dio protettore dei fabbri e degli orafi. È un amante della solitudine, ma è anche sempre impegnato a combattere nella società. Mio nonno diceva che io sono un figlio di Ogun. A volte, quando mi trovo di fronte a una circostanza particolare, mi domando: «Che cosa avrebbe fatto Ogun in una situazione come questa?». Ovviamente mi piace il vino. E Ogun è l'equivalente di Bacco. È il dio del vino di palma e non c'è una sua cerimonia che non sia accompagnata o benedetta da quella bevanda.
C'è una scultura a cui, prima di mangiare, chiedo l'approvazione del cibo. C'è qualcosa di molto speciale e curioso nei suoi occhi. Uno sguardo particolare. Sono occhi che pongono domande. In un modo che, però, è anche protettivo. È per questa combinazione che l'ho eletta al ruolo di mio assaggiatore. C'è poi un altro pezzo che di solito chiamo “La serenità dell'uomo anziano” o “Anziano avatar con sorriso enigmatico”. A volte dico: «Oh, quello seduto là è mio nonno». Questo pezzo, dal primo momento in cui l'ho visto, mi ha fatto pensare: «Deve entrare a far parte della mia vita». Quando è possibile, viene con me dappertutto. La cosa interessante è vedere quali reazioni suscita quest'opera anche nelle altre persone. Per esempio, la signora che mi aiutava in casa non le si avvicinava mai. Eppure toccava ogni altra cosa. Uno dei miei figli fa lo stesso, non vuole andarle vicino. È una cosa che mi diverte moltissimo. Non che mi piaccia vedere le persone spaventarsi, ma mi diverte che qualcosa che mi è così familiare abbia un effetto così strano sugli altri.
Due pezzi a cui ero particolarmente affezionato sono stati rubati. Una scimmia con un fallo incredibile e una cariatide. Di solito le mettevo ai due lati della porta d'ingresso, come divinità della casa. Le persone attraversavano quel campo di forza, per come lo vedevo e chiamavo io. Credo che qualche fondamentalista le abbia rubate e le abbia distrutte. È successo molti anni fa. Erano pezzi di grandi dimensioni e non ce n'è più traccia. Alcune persone probabilmente si sono sentite offese da quei pezzi a tal punto da rubarli e distruggerli. Quando ero all'università di Ife in Nigeria, sono stato attaccato da certi fondamentalisti cristiani e musulmani perché odiavano le rappresentazioni della spiritualità africana. Insomma, queste sculture sono sparite.
In Nigeria ho passato del tempo in prigione, ospite dello Stato, per le mie idee politiche, separato dalle mie sculture. Ho scritto poesie su di loro, così era come se fossero un po' con me. Ma ovviamente non c'è niente come la loro palpabile presenza, quando puoi fisicamente camminare e spostarti da una all'altra. Le puoi toccare, risistemare, e questo riposizionarle fa parte del piacere estetico che ti danno. Sono ancora molto interessato e legato alla mitologia Orisha degli Yoruba. Considero le divinità come prolungamenti, estensioni dell'immaginazione umana e mi reputo una persona spirituale. Nelle varie forme di spiritualità che ho incontrato, quella Orisha si addice alla mia sensibilità, ma alla fine - voglio sia chiaro - non ho il culto di alcuna divinità. Adesso sto contrattando il prezzo di un'altra scultura che vorrei. È un'insolita cariatide Yoruba in legno. Un pezzo legato alla procreazione. Molto bello. Finemente scolpito. Ma costa più di quello che, al momento, mi posso permettere. Però, chissà, sono alla ricerca di premi letterari da vincere. Magari mi intrufolerò sotto pseudonimo!
(Akinwande Oluwole “Wole” Soyinka è considerato uno dei massimi poeti e drammaturghi africani di lingua inglese, Premio Nobel per la letteratura (1986). Per la difesa delle proprie idee, ha subito il carcere, l'esilio e una condanna a morte in contumacia. Fra i molti suoi libri pubblicati in Italia: Smurare la libertà e Al di là dell'estetica. Uso, abuso e dissonanze nelle tradizioni artistiche africane, editi da Jaca Book. Il suo ultimo libro, Chronicles of the happiest people on earth, uscirà in Nigeria entro la fine dell'anno e nel 2021 nel resto del mondo. Per ascoltare le storie della sua collezione, visitare www.akefestival.org )
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