Colmare lo skill gap per sostenere lo sviluppo: università e imprese a braccetto
L’obiettivo è preparare i giovani per ruoli e compiti strategici nelle organizzazioni chiamate ad accelerare il processo di trasformazione digitale
di Gianni Rusconi
3' di lettura
Incontri formativi, seminari e lezioni didattiche: per il momento non sono ancora previsti eventi fisici e quindi ci si dovrà accontentare di sessioni in formato digitale per rispettare le direttive indicate dal Miur nell’ambito delle misure anti Covid-19 e in pieno accordo con i principali atenei italiani coinvolti nell'iniziativa. Poi, da quando sarà possibile (le modalità degli incontri sono in fase di definizione), studenti, professori e più in generale il personale accademico si confronteranno di persona per parlare di digitale e in modo particolare di tecnologie come il cloud, il networking e la cybersecurity.
L’avvio del progetto di education pluriennale «Orizzonte Digitale», annunciato lo scorso ottobre e sviluppato da VMware (la sussidiaria di Dell Technologies specializzata nei sistemi di virtualizzazione) e dal Crui (Conferenza dei Rettori delle Università Italiane) per coltivare e crescere i talenti, è stato rallentato per ovvi motivi dalla pandemia ma si conferma un’iniziativa di ampio respiro. E di grande rilevanza soprattutto in questa fase di ripresa delle attività.
Si parte con tre firme prestigiose (l’Università di Pisa, la Federico II di Napoli e Milano-Bicocca) e l’obiettivo, scontato ma solo in apparenza, è quello di preparare i giovani a svolgere ruoli e compiti strategici nelle organizzazioni chiamate ad accelerare (oggi più che mai) il proprio processo di trasformazione digitale, e quindi figure come il Data Scientist, il Privacy Specialist o il Cyber Security Manager.
Ma dove e perché nasce questa iniziativa? Rivolgendo la domanda a Raffaele Gigantino, Country Manager di VMware per l’Italia, la risposta che abbiamo registrato è la seguente: «Siamo partiti da un’analisi della Commissione Europea secondo cui, entro la fine del 2020, circa il 90% delle professioni non Ict richiederà competenze digitali, mentre altri studi confermano come nei prossimi anni in Italia avremo un deficit enorme di risorse specializzate in tecnologia, nell’ordine del milione di unità».
Lo skill gap che preoccupa (limitandone il percorso di crescita) molte aziende della Penisola è quindi il presupposto che ha ispirato un progetto avente come traguardo la formazione di circa mille studenti l'anno. «È un obiettivo realistico rispetto alle capacità e alle risorse messe in gioco», spiega in modo convinto il manager al Sole24ore.com, aggiungendo un secondo traguardo da raggiungere, direttamente correlato al primo, e cioè quello di instillare le competenze necessarie a giovani post-laurea su temi vicini al business dell’azienda americana, rilasciando ai più meritevoli anche un’apposita certificazione.
«VMware – aggiunge ancora Gigantino - opera su tutto il territorio nazionale con una rete di circa 1.200 partner e sono proprio questi soggetti che dialogano direttamente con le aziende a necessitare di figure avanzate, di talenti che potrebbero essere appetibili anche per la nostra organizzazione».
Se nelle intenzioni c’è la volontà dichiarata di estendere l’iniziativa ad altri atenei, anche nel Sud Italia e nelle Isole, non mancano ovviamente gli elementi di criticità e Gigantino non ne fa mistero. «La velocità dell’innovazione tecnologica è tale che il sistema universitario non riesce a stare al passo; la cooperazione pubblico privato è sicuramente una strada da seguire, anche se non sarà mai la soluzione definitiva al problema perché il fattore fondamentale è, in ogni caso, l’execution. Le aziende tecnologiche devono mettere a disposizione le competenze necessarie, ma anche i rettori universitari devono fare la loro parte».
Ed è una parte importante. Se andiamo infatti a spulciare i risultati di uno studio condotto da Forum PA sul ruolo del sistema accademico per lo sviluppo territoriale, si evince come la presenza di università abbia un impatto positivo importante sulla diffusione di esperienze imprenditoriali innovative. C’è in altre parole uno stretto legame che unisce il mondo dell’alta formazione e il mondo delle aziende nel processo di trasformazione digitale del Paese. E lo dicono alcuni indicatori specifici.
Nelle dieci province del Nord con alta presenza universitaria, per esempio, il tasso di occupazione è del 67,2%, mentre il numero medio di startup ogni 10mila imprese tende ad aumentare significativamente al crescere della presenza universitaria, passando da un valore minimo di 7,9 nei territori dove la presenza è marginale a un massimo di 23,4 nelle province centro-settentrionali ad alta intensità. Più è rilevante la presenza universitaria, insomma, più c’è predisposizione all'innovazione.
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