Colpo di Stato in Gabon, spodestata dopo oltre 50 anni la dinastia dei Bongo. Il presidente ai domiciliari
I militari annunciano la presa di potere annullando il voto del 26 agosto, dissolvendo le istituzioni e chiudendo i confini. È il settimo golpe in Africa in tre anni
di Alberto Magnani
I punti chiave
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Istituzioni dissolte, confini chiusi ed elezioni cancellate. Il déjà-vu dei colpi di Stato militari si è appena consumato in Gabon, il Paese dell’Africa centrale guidato da oltre mezzo secolo dalla stessa famiglia. Un gruppo di militari ha annunciato dagli studi della tv pubblica di aver preso controllo del Paese, annullando l’esito delle elezioni che si erano svolte il 26 agosto con la vittoria del 64enne Ali Bongo Ondimba: la terza dal 2009, dopo che il padre Omar ha mantenuto il controllo del Paese per 41 anni. Ora il presidente si troverebbe agli arresti domiciliari, mentre centinaia di cittadini stanno festeggiando la sua destituzione per le strade delle capitale Libreville. I putschisti hanno nominato il generale Brice Oligui Nguema come «presidente della transizione» e confermato l’imposizione di un coprifuoco «fino a nuovo ordine».
Il blitz arriva a pochi giorni da un voto che si è aperto e chiuso in un clima di nervosismo, lo stesso che ha scandito tutte le elezioni dall’inizio degli anni ’90. Le opposizioni avevano denunciato brogli alle urne, accusando Bongo di aver ottenuto meno consensi rispetto al 64% abbondante registrato dalla commissione elettorale contro 18 sfidanti in lizza. Intervistato dal quotidiano le Monde, Oligui Nguema ha risposto che il golpe è nato dal «malcontento» della popolazione verso la leadership di Bongo, assicurando che l’ormai ex presidente sarà «pensionato» e manterrà i suoi diritti.
Solo lo scorso 17 agosto, in occasione del giorno dell’Indipendenza dai coloni francesi, Bongo aveva chiarito che non avrebbe mai permesso al Gabon di finire «ostaggio di tentativi di destabilizzazione». La china che si annuncia è esattamente quella, mentre la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale esprime preoccupazione per il «contagio autocratico» che si sta diffondendo nel Continente.
Il settimo golpe in tre anni e la dinastia dei Bongo
I timori non sono isolati. Se confermato, quello del Gabon sarebbe il settimo golpe registrato nell’Africa subsahariana in meno di tre anni dopo quelli di Mali (2020, 2021), Burkina Faso (entrambi nel 2022), Guinea (2021) e Niger (2023). Il bilancio sale a otto se si include la transizione di potere avvenuta in Ciad, dove il figlio del presidente Idriss Déby è salito al potere con una giunta militare dopo l’uccisione del padre nel 2021. Il Gabon, paese da poco più di 2 milioni di abitanti, non è scosso dall’ondata di violenze terroristiche che inquieta il Sahel ed era ritenuto - relativamente - stabile, sia pure sotto lo scacco di una dinastia famigliare che ha concentrato nelle sue mani il potere per oltre 50 anni: prima Omar Bongo, al timone di Libreville dal 1967 al 2009; poi, appunto, il figlio Ali Bongo Ondimba, subentrato allora e proiettato dall’ultimo voto al terzo mandato consecutivo. Ma lo scenario economico si era incupito con la doppia doccia fredda di crisi del Covid e guerra in Ucraina, un freno a una crescita comunque attestata sopra il 3% nel 2022.
Le contraddizioni del Gabon fra petrolio e povertà
Lo stesso Bongo junior aveva dovuto riconoscere la crescita di tensioni in un Paese -discretamente - ricco di risorse naturali, ma piagato da povertà e la morsa di un’inflazione con ricadute pesanti sui prodotti alimentari. Il Gabon rientra nel club dei produttori petroliferi dell’Opec con volumi giornalieri di oltre 181mila barili di greggio, quanto basta a classificarlo come quarto produttore dell’Africa subsahariana per output di oro nero.
Secondo dati della Banca mondiale, Libreville deve al petrolio il 38,5% del Pil e il 70,5% delle sue entrate da export, una dipendenza che ha indotto il governo ad annunciare vari piani per diversificare la produzione economica. Anche perché la ricchezza del suo sottosuolo non si è mai riversata su una popolazione attanagliata da costi della vita in crescita e tassi di disoccupazione volati oltre al 40% nella fascia degli under 24.
A gennaio 2023 il governo ha istituito un ministero ad hoc per affrontare la spirale inflazionistica, dopo aver fissato un tetto ai prezzi di 48 prodotti importati fra ottobre 2022 e marzo 2023. Non è bastato a placare il malcontento, sfociando in un blitz che può aumentare e allargare lo spettro di instabilità nella regione. La comunità internazionale sta moltiplicando gli appelli per una soluzione diplomatica e la messa in sicurezza dello stesso Bongo, mentre le prime compagnie straniere annunciano la sospensione delle attività fino al ripristino dell’ordine.
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