Come celebrare la bellezza con l’elettrizzante energia della primordialità
Convincono le prove di Rick Owens e Jonathan Anderson per Loewe, rinnovata con successo la formula di Issey Miyake e Yohji Yamamoto
di Angelo Flaccavento
2' di lettura
Lo status quo modaiolo al momento è particolarmente soffocante e pervasivo. Spalle enormi, curve in vista, power suit, guaine sexy e poco altro sono tutto ciò che si vede, in modulazioni di frequenza che vanno dal trascinante al dimenticabile. In pochi mantengono viva la fiamma dell'immaginazione, ovvero della moda con la M maiuscola: Rick Owens, che celebra la bellezza allungando, elevando, drappeggiando, luccicando e contorcendo, sempre con un tocco brutale, primitivo, primordiale; Jonathan Anderson, che ha fatto di Loewe un folle laboratorio di ricerca psicoestetica.
Dalla scorsa stagione il marchio spagnolo, del quale Anderson è direttore creativo dal 2014, è entrato di una fase di sperticata fantasia al potere, di surrealismo debordante. Inserendosi nel vuoto immaginifico creatosi con l'assenza momentanea di Rei Kawakubo - causa covid, Comme des Garçons non sfila da due anni -, Anderson ha preso a creare collezioni che spiazzano e fuggono facili spiegazioni, di un surrealismo brutale e flagrante, che a tratti può risultare irritante ma che per questo irretisce.
Il core business rimangono le borse, gli accessori di pelle e altre linee collaterali, quindi con gli abiti si sperimenta all'impazzata e beffardamente. Il racconto di stagione, ambientato in un ring quadrato ricoperto di moquette marrone scuro che pare terra, disseminato di zucche giganti - opera dell'artista Anthea Hamilton - è un big bang che va dal primordiale al meccanico, dalle pelli modellate addosso ai top stampati in 3D, dagli abiti-macchina agli oggetti - scarpe, palloncini - intrappolati nei drappeggi. A completare il tutto, abbracci e palloncini in trompe l'oeil, tacchi come palloncini pronti a esplodere, reggiseni a palloncino, da leggere come tocco fetish invece che infantilistico. Gli elementi da decrittare sono molti, e il deragliare è deliberato, ma il discorso fila perché il tono dell'espressione è crudo invece che fiammeggiante, nudo invece che eccessivo. Ha un senso di primordialità che elettrizza.
Da Issey Miyake, Satoshi Kondo continua a lavorare su un enunciato teso, energico, che se non riporta il marchio ai fasti di un tempo lo attualizza però in un modo che affascina. Il tema del seme che germoglia - questa la narrativa di stagione - si traduce in un fiorire di forme angolose e avvolgenti, di colori che dal naturale virano al vivido. Manca la sfilata, ma per quella bisognerà aspettare, probabilmente, giugno.
Yohji Yamamoto, dei giapponesi, è il solo a sfilare in presenza. Sceglie i saloni sontuosi dell'Hotel de Ville per snocciolare la usuale teoria di nero e decostruzione, che quanto più si ripete tanto più è poetica. A questo giro i pouf sbrindellati si mescolano alle marsine rasoiate e al denim non lavato, e l'effetto, invece che cupo, è lieve.
È inutilmente cupa, terribile come una marcia di squadristi, la sfilata di VTMNTS . Qui si reitera la formula: tailoring plumbeo, piumini eroici e irosità a vanvera. Non basta la musica assordante, però, a evitare il deja-vu.
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