Come costruire una sostenibilità sostenibile
di Michele Costabile
4' di lettura
L’attenzione alla sostenibilità si è definitivamente diffusa su larga scala. Greta Thumberg e i “#FridaysForFuture”, i disastri naturali e gli eventi climatici estremi - a torto o a ragione collegati al degrado ambientale -, la pandemia da Covid-19 interpretata come inequivocabile segnale del Dio della carnage spazientito da violenze ambientali e ingiustizie sociali, sono alcune delle chiavi che hanno aperto la fase della sostenibilità di massa. La nuova scala con cui dovremo confrontarci, tuttavia, pone nuove sfide, prima fra tutte quella di progettare e industrializzare una “sostenibilità sostenibile”. Sostenibile perché bilanciata sulle dimensioni ambientali, sociali ed economiche ovvero di governance della singola impresa (ESG) ma soprattutto perché capace di generare processi che si autoalimentano grazie all’equilibrio dei vantaggi individuali. Processi fatti da comportamenti diffusi e spontanei in quanto motivati da ritorni convenienti per tutti gli attori dell’ecosistema (industriale, sociale o territoriale che sia) .
Ma quali sono le variabili su cui concentrarsi per progettare e industrializzare una sostenibilità più sostenibile?
Alcune saranno scoperte solo sperimentando la nuova scala dimensionale. Altre sono già ben visibili. Per esempio le variabili di mercato. Mercato di consumo da un lato, mercato finanziario dall’altro. Mercati sinora trascurati nello sviluppo di “marketing plan” e “business plan” delle iniziative e degli investimenti per la sostenibilità.
Sui mercati di consumo, per il successo duraturo di un’offerta sostenibile è fondamentale generare valore per il consumatore nel tempo. Quel valore fatto di un rapporto fra benefici e costi che alimenta soddisfazione, fiducia e fedeltà. E’ fondamentale, quindi, che il beneficio della sostenibilità che gratifica e inorgoglisce nei confronti sociali aumenti in misura coerente con le altre dimensioni del customer value, ossia senza deprimere benefici funzionali ed economici, questi ultimi riferiti a tutti i vantaggi ovvero gli svantaggi connessi ai costi-sacrifici che un consumatore deve sostenere per acquisire e godere, nel complesso, del valore atteso da un bene o un servizio. In altre parole, il beneficio psico-sociale della sostenibilità non regge nel tempo se opera in trade off a somma zero con benefici funzionali e costi; per esempio, un package sostenibile ma non abbastanza robusto che quindi non protegge o non è agevolmente trasportabile. Insomma non regge se opera a discapito di performance essenziali e rilevanti per il cliente. O ancora regge poco, e solo sull’onda dell’entusiasmo iniziale, se il prezz) della sostenibilità è troppo elevato o se altre categorie di costi, legati a reperimento, apprendimento all’uso, uso continuativo, smaltimento ecc., sono scaricati sul cliente. Si pensi alle tante offerte sostenibili che, per quanto psicologicamente e socialmente gratificanti, hanno performance relativamente più scadenti oppure richiedono un sacrificio eccessivo di tempo o altre attività complementari all’uso ma onerose. Per esempio i sistemi di riciclo dei rifiuti troppo complessi e per nulla citizen-frienldy accompagnati da impliciti messaggi di fustigazione (“se consumi e godi devi poi soffrire”). In sintesi, la sostenibilità nei mercati di consumo sarà tanto più sostenibile quanto più la progettazione e l’industrializzazione delle innovazioni – ambientali e sociali – sarà in grado di accrescere il valore globalmente offerto ai consumatori, bilanciando i benefici differenziali (che devono anzitutto essere anzitutto efficacemente comunicati) con i differenziali negativi di performance e di costo che eventualmente producono. Su questo terreno la chiave di svolta della sostenibilità sostenibile sono le innovazioni tecnologiche (per esempio nei materiali) e quelle organizzative (per esempio nelle logistiche).
Per quanto riguarda i mercati finanziari la sfida è per certi versi analoga, lavorando sul valore per investitori e stakeholder. E non si tratta solo di bilanciare costi e ricavi delle innovazioni sostenibili. Sarà prioritario, infatti, ripensare i modelli di business. Le sole leve filantropiche non bastano per la larga scala. Bisogna iniziare a sperimentare modelli ibridi. La diffusione delle benefit corporation, e quindi la destinazione di quote rilevanti del valore generato a iniziative di sostenibilità ambientale e sociale, muove in questa direzione ma deve essere ben governata. Le attività benefit sono sostenibili nel tempo se sono reali (utili e dividendi generati in misura adeguata alle dimensioni aziendali) e destinati a purpose coerenti con il finalismo imprenditoriale, la visione e la missione strategica aziendale. È pure necessario sperimentare, e portare su scala molto ampia, modelli per la valorizzazione delle risorse (competenze e relazioni) che l’economia della sostenibilità e del terzo settore ha sviluppato in quantità apprezzabile negli ultimi decenni. Gli esempi sono tanti. Da quello di della statunitense Resolve (www.resolve.ngo), specializzata nella sorveglianza intelligente di ambienti naturali (parchi naturali a fini antincendio e antibracconaggio; miniere a fini di controllo su pratiche di sfruttamento illecito; ecc. ecc.) che ha lanciato una start-up tecnologica, impact@RESOLVE (impactatresolve.com), in grado di proporre al mercato sistemi e servizi di particolarmente innovativi, facendo leva su capacità uniche, sviluppate appunto in contesti no profit. A quello di Academy Rapido, start-up edtech che sta sperimentando con risultati straordinari un nuovo modello di formazione e inclusione nel mondo del lavoro con più elevato fabbisogno di competenze (digital skills gap) per i c.d. NEET (Not in Education, Employment or Training), una vera e propria piaga sociale – oltre che economica -, soprattutto in Italia e nei paesi di cultura latina. Academy Rapido ha una value proposition naturalmente duale: offre valore economico per le imprese in carenza di competence digitali e, al contempo, genera valore sociale data l’elevata proporzione di NEET che completa il processo formativo ed entra o rientra nel mondo del lavoro. E quale risultato non proprio collaterale finisce per contribuire a un incremento del gettito fiscale. Mentre nel caso di Resolve il modello duale vede la componente filantropica estendersi al fine di generare risorse su più larga scala nel business as usual; nel caso di Academy Rapido è il business as usual che genera un prodotto collaterale ad alto valore sociale, che potrebbe evolvere verso un modello duale da formalizzare con lo sviluppo di una entità filantropica sinergica a quella di business.
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