Come dare in dote 10mila euro ai giovani senza toccare la tassa di successione
Scelte politiche a parte, una corretta alfabetizzazione finanziaria consente di raggiungere lo scopo, stanziando ammontari ridotti
di Marco lo Conte
I punti chiave
5' di lettura
Quesito: dove reperire le risorse per assegnare a ciascun diciottenne italiano una dote di 10mila €? Il tema è stato alimentato dalla proposta di Enrico Letta di ritoccare la tassa di successione per i patrimoni superiori ai 5 milioni di euro e dal dibattito che ne è seguito, con inevitabili pro e contro e confronto internazionale della legislazione italiana ed estera. L’obiettivo strategico della proposta è permettere ai più giovani di poter contare su un capitale iniziale per formarsi, viaggiare, acquistare beni, avviare un’attività o quantomeno poter contare su una cifra di avviamento alla vita adulta. Ovviamente, per quanto condivisibile l’obiettivo, il reperimento delle risorse non può che creare scontento, anche se va ad incidere - e marginalmente - su una fetta della popolazione particolarmente agiata, proprio perchè rappresenta simbolicamente un aumento dell’imposizione fiscale sui cittadini italiani.
Il punto che qui si vuole trattare è che c'è un'altro modo di dare 10mila € a un diciottenne. Anzi, diversi: basti pensare alla “liquidazione” che ricevono i giovani israeliani al termine del periodi di leva, denaro utilizzato per avviare una quantità impressionante di start up tecnologiche, che hanno inondato il mondo con i programmi e i prodotti che quotidianamente utilizziamo nella nostra vita digitale.
Un modo agevole per ottenere un obiettivo analogo - e a basso costo politico, fiscale e finanziario - è il prodotto di una ricetta che combini in modo adeguato gli ingredienti giusti. Partiamo con un esempio concreto: si prendano 6.068 € e li si regalino a un neonato, investendo questi denari in uno strumento di risparmio gestito, in grado di produrre un rendimento netto annuo medio del 3,6%. Perché proprio questo tasso? È il rendimento medio dei fondi pensioni di categoria negli ultimi dieci anni il quale, applicato al capitale iniziale, produce un montante finale proprio di 10mila euro, dopo 18 anni.
Il gioco dei fattori correlati
La ratio di questo procedimento è che capitale, tempo, rendimento e risultato finale sono funzioni in relazione tra loro: a eguale capitale servirà un tasso di interesse superiore per ottenere lo stesso risultato in meno tempo. Come i gestori di portafoglio ricordano bene, un capitale raddoppia il proprio valore in dieci anni applicando un tasso del 7,2%; o in 20 anni se il tasso è del 3,6%, e così via.
Facile no? Proprio per niente: quelli appena snocciolati sono gli ingredienti, ciò che manca è la ricetta. E la ricetta è quella disciplina in cui ricade la definizione di alfabetizzazione finanziaria o educazione finanziaria, che consiste in 1) conoscere i fattori che determinano un risultato come quello appena esposto 2) averne competenza, ossia capire che capitale tasso tempo il risultato finale sono intrinsecamente legati da un legame aritmetico. E anche 3) l'abilità, ossia sapere che proprio ragione di questo legame se aumento il tasso avrò bisogno di meno capitale iniziale e se vorrò estendere il piano a 20, 30 anni invece che 18 otterrò risultato differente ancora.
La ricetta dell’alfabetizzazione finanziaria
Conoscenza, competenza e abilità sono i cosiddetti tre pilastri dell’alfabetizzazione finanziaria, disciplina poco praticata dagli italiani, visto che solo il 37% è stato in grado di rispondere correttamente in occasione del sondaggio Internazionale Ocse Gallup sull'alfabetizzazione di 148 Paesi al mondo (siamo arrivati 63esimi, ultimi in Europa e penultimi nei Paesi Ocse davanti solo alla Colombia). Come passare dalla teoria alla pratica? O, per usare la terminologia Ocse, dalla conoscenza all’abilità? Il Comitato Nazionale per l’educazione finanziaria ha messo in campo numerose occasioni per innalzare il livello davvero inadeguato degli italiani. Formazione, esempi, consuetudine, informazione sono tutti canali che permettono al risparmiatore italiano di gestire correttamente il proprio denaro e di essere meno passivo rispetto ai luoghi comuni sedimentati nei decenni passati, quando i titoli di Stato offrivano tassi di rendimento cospicui e il mattone cresceva di valore continuamente.
E quindi che cosa fare?
Queste “certezze”si sono dissolte come neve al sole e per mettere a frutto il proprio denaro occorre considerare tre principi: l’ostacolo dell’inflazione, che erode il valore reale del nostro denaro, la necessità di diversificare a dovere il nostro portafoglio e, infine, l’impatto prodotto su un capitale del tasso di interesse semplice o composto. Perchè l’educazione finanziaria non significa essere esperti, ma avere cognizione di base, conoscere i propri limiti e chiedere in caso aiuto a chi ne sa più di noi.
Per esempio, non è necessario essere esperti per investire sui mercati: è possibile definire (magari con l’aiuto di un professionista o di un esperto) una strategia che preveda l’acquisto periodico di quote di strumenti di risparmio gestito. Il che ha il vantaggio dell'automaticità decisionale – non devo decidere ogni mese o ogni anno in cosa investire – e dell'automaticità finanziaria: se il valore quota dello strumento prescelto sale con lo stesso ammontare di denaro acquisterò meno quote, se cala ne acquisterò di più.
L’ingrediente segreto
Come in tutte le buone ricette che si rispettano c’è un ingrediente segreto, poco apparente ma decisivo: se applico un tasso a un capitale in un'unica soluzione si ottiene un risultato che è la somma di due fattori; se invece applico un tasso non solo al capitale ma anche alla somma ottenuta in precedenza di capitale più interesse, creo un “interesse composto”. Tale meraviglia matematica (a detta di Einstein) sfugge all'immediata intuizione umana (tranquilli: accadeva anche prima dei social, del digitale e della televisione), ma basta un minimo di attenzione per capire che i tassi composti hanno un effetto sul capitale iniziale ben superiore dei tassi semplici. Ad esempio: i nostri 6.068 euro dopo 18 anni diventano 11.468,88, applicando un tasso composto del 3,6%, invece che 10mila a un tasso semplice.
Ossia 1.468,88 euro in più del risultato prodotto con il tasso semplice. E visto che, come abbiamo capito prima, i fattori sono tutti in funzione tra loro, possiamo anche calcolare la cifra iniziale per ottenere 10mila euro a un tasso composto del 3,6%, invece che a un tasso semplice: 5.291 euro. Una differenza rilevante che potrebbe spingere un policy maker a decidere di ottenere lo stesso risultato in termini di bonus ai giovani ma stanziando risorse molto meno cospicue. Si potrebbe ad esempio utilizzare un BTp trentennale, collocato dal Tesoro di recente al tasso dell'1,75%. Il capitale cui applicare il tasso semplice per ottenere i nostri 10mila euro ammonta a 7.605 euro.
Che sia lo Stato, un'agenzia per il prestito d'onore, una fondazione o qualunque altro soggetto, potrebbe risparmiare 2.395 euro. Se avesse la pazienza (politica) di attendere 18 anni e di utilizzare ricetta e ingredienti nel modo più corretto possibile. E i 10mila euro porterebbero con sé anche il valore educativo del risparmio, degli investimenti nel medio/lungo termine che possono ottenere risultati estremamente premianti.
Gli altri fattori in gioco
Il dato aritmetico non deve farci perdere di vista i diversi fattori che incidono in questa elaborazione. Questi numeri si ottengono al netto di costi che si applicano agli strumenti finanziari in cui si investe: più sono costosi e minore sarà il risultato finale. Covip, commissione di vigilanza sui fondi pensione, calcola che per ogni punto percentuale di differenza di costi tra strumenti diversi si produce un risultato diverso del 20%. Che diventa il 40% se i punti percentuale sono due, come accade tra strumenti previdenziali di mercato (i Pip in particolare) e strumenti negoziali (i fondi di categoria). Poi c’è il rendimento: per avere un riferimento confrontabile e plausibile, abbiamo preso in esame quello medio dei fondi pensione di categoria ma l’analisi dei dati offre una pluralità di suggestioni tra cui scegliere quella più consona alle strategie personali. Robert Schiller, premio Nobel per l’Economia, ha calcolato che a 20 anni l’indice S&P500 rende il 5,2% con una volatilità del 2,9%.
Un altro ingrediente più evidente e meno “segreto” è il tempo che, come visto nel capo dei rendimenti composti, è decisivo per aumentare e di tanto il risultato finale. Attendere diciotto anni è una dimensione temporale coerente con gli obiettivi del marketing politico? Difficile crederlo. Ma essere smentiti non sarebbe male. Così come ricordare quanto diceva Alcide De Gasperi: «Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista guarda alla prossima generazione».
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