I 110 anni della rivista di Politica economica

Come dobbiamo fare i conti con i risvolti economici della transizione demografica

di Stefano Manzocchi

(Photomarine - stock.adobe.com)

3' di lettura

Di cosa parliamo quando parliamo di demografia, si può ben dire parafrasando Raymond Carver, tante e complesse sono le relazioni economiche e sociali che si intrecciano con le dinamiche della popolazione. Il volume dei 110 anni della «Rivista di Politica Economica» descrive e documenta alcuni snodi cruciali del rapporto tra demografia e società italiana, con riferimento ad esempio alla “sindrome del ritardo” nei processi di autonomia giovanile, oppure alle riforme auspicabili per una progressiva ripresa della natalità.

La demografia è naturalmente un motore fondamentale delle tendenze macroeconomiche globali di lungo termine, come dimostrano alcuni capitoli del volume. L’invecchiamento della popolazione mondiale (conseguenza di tassi di mortalità e natalità più bassi) ha effetti rilevanti e persistenti sull’ambiente economico. L’impatto della transizione demografica è decisivo per almeno tre aspetti che caratterizzano l’economia globale dalla fine degli anni 80: il declino dei tassi di interesse reali e della crescita – la cosiddetta “stagnazione secolare”; i crescenti squilibri di bilancia dei pagamenti e nelle posizioni nette sull’estero tra Paesi; e la trasformazione strutturale delle economie con un progressivo minor peso dei settori dei beni commerciabili a vantaggio dei servizi. L’effetto demografico si dimostra preponderante in alcuni casi (esso spiega più della metà del calo del tasso di interesse reale), e assai rilevante anche per determinare gli squilibri delle partite correnti e la struttura produttiva. Sulla base delle proiezioni demografiche globali più recenti, non vi sarà alcun capovolgimento di queste tendenze nel corso del XXI secolo, a parità di altre condizioni.

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L’eccesso di risparmio su scala globale, conseguenza dell’invecchiamento della popolazione, esercita dunque una pressione al ribasso sui tassi di interesse e di crescita nel medio e lungo termine, e si può accompagnare a fenomeni di scarsità di manodopera e disallineamento tra domanda e offerta di lavoro. Le tensioni inflazionistiche cui stiamo assistendo di recente sono in larga parte da ricondurre ad aumenti dei prezzi di energia e materie prime, nonché a strozzature lungo le catene globali del valore connesse anche alla pandemia. Ma anche carenze di manodopera disponibile rispetto alla domanda sembrano giocare un ruolo, negli Stati Uniti ma non solo. Qui un tema ricorrente non è solo quello di una contrazione dimensionale delle coorti più giovani della popolazione, ma anche quello della distanza tra domanda e offerta di competenze. La questione, com’è noto, è molto sentita nel nostro Paese, dove le imprese dichiarano di non trovare lavoratrici e lavoratori capaci e disposti a svolgere alcuni ruoli. Le strozzature dell’offerta dipendono anche da modelli e percorsi di formazione antiquati e talvolta fuorvianti, che quindi in estrema istanza contribuiscono ad alimentare un sottofondo inflazionistico. Nel caso dell’Italia e dell’Europa, è fondamentale che le risorse e soprattutto le riforme del Pnrr siano volte ad aggiornare il set di percorsi formativi per consentire a ragazze e ragazzi di trovare impieghi soddisfacenti e ben retribuiti, con un più veloce percorso di autonomia per i giovani e una crescita della produttività per il Vecchio continente. L’aumento del tasso di partecipazione dei giovani al lavoro è prioritario specie in Italia.

Le dinamiche della popolazione e i loro effetti macroeconomici hanno conseguenze anche sui mercati finanziari, non solo per la compressione tendenziale del tasso di interesse reale e la direzione dei flussi internazionali di capitali, ma per le stesse attitudini degli operatori. L’eccesso di risparmio può favorire una eccessiva propensione per il rischio, e dar luogo a un ambiente finanziario nel quale bolle speculative e ipervalutazione degli asset da fenomeni sporadici divengono endemici. La concorrenza di nuovi operatori Fintech potrebbe spingere anche gli intermediari tradizionali verso una maggiore assunzione di rischio. Scenari molto estesi e complessi, appunto: ecco di cosa parliamo quando parliamo di demografia.

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