Interventi

Come fare la squadra dei ministri di Conte

di Vincenzo Galasso

4' di lettura

Programma di governo e ministri. Questi i due complessi mega-dossier sul tavolo del presidente del consiglio incaricato, Giuseppe Conte. All’apparenza due partite distinte. Una nobile: stilare un programma di governo che metta d’accordo due forze politiche che si guardano in cagnesco, ma soprattutto che tiri l’Italia fuori da vent’anni di stagnazione economica. L’altra di bassa cucina: assegnare le poltrone cercando di accontentare partiti e correnti di partito.

Invece, i due dossier si parlano – o almeno dovrebbero, poiché la credibilità e il successo del programma di governo dipende in larga misura dalle persone chiamate a eseguirlo.

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Consideriamo il primo governo Conte. Ha visto la luce grazie a un contratto di governo, che metteva nero su bianco le misure che Lega e Movimento 5 Stelle avevano concordato di attuare: Quota 100, Reddito di Cittadinanza, Flat tax. Dopo aver varato alcune di queste misure, complice anche il risultato elettorale di Lega e M5S alle Europee, l’azione di governo si è bloccata. E tutte le contraddizioni di una coalizione tra forze politiche con visioni diverse sono emerse, soprattutto nella gestione di problemi nuovi o inattesi. Era inevitabile, perché un contratto tra forze di governo – o con gli italiani – è necessariamente incompleto.

Le contingenze economiche, sociali e geopolitiche che possono realizzarsi sono troppe e troppo imprevedibili da poter essere messe nero su bianco. Un governo che abbia l’ambizione di durare e di risolvere i problemi che gli si presentano deve avere omogeneità di vedute e di intenti. Nei limiti di quanto possibile in un sistema proporzionale in cui governi di coalizione nascono in Parlamento, dopo le elezioni. Nel governo Lega-M5S, questa omogeneità non c’era. E non l’ha creata un contratto.

Il secondo governo Conte nascerebbe con auspici diversi? Non necessariamente. Anche in questo caso le forze politiche che lo comporrebbero, M5S e PD, hanno visioni diverse su molte tematiche.

Ma se i contratti non funzionano, come può il presidente del consiglio assicurarsi che la linea di fondo inizialmente condivisa (tra tante difficoltà) non sia continuamente messa in discussione? Per dare credibilità al programma di governo – il primo dossier, il presidente del consiglio dovrebbe aprire anche il secondo dossier e scegliere i suoi ministri assicurandosi che la loro reputazione personale renda plausibile la realizzazione del programma. Molti studi mostrano infatti che l’identità dei leader politici è fondamentale nelle scelte di policy e nei risultati conseguiti.

La maniera migliore per fugare le incertezze e i dubbi che circondano la formulazione e la realizzazione del programma di un governo M5S-PD è di selezionare dei ministri che formino una squadra relativamente omogenea e la cui storia personale mostri la via. La scelta del ministro degli esteri manderà un segnale sulla collocazione geo-politica del nuovo governo, dopo le incertezze di quello precedente. Il governo ha intenzione di rispettare i vincoli fiscali europei o di intraprendere un duello con Bruxelles? La figura del ministro dell’economia può aiutare a chiarire le idee ai paesi europei e ai mercati. Su lavoro e tassazione, il governo prevede di aprire una discussione con le parti sociali oppure di muoversi in solitario? La scelta del ministro del lavoro può aiutare a precisarlo.

Ovviamente, il presidente del consiglio non può scegliere i suoi ministri senza consultare le forze politiche che sostengono il governo.

Tuttavia, potrebbe chiedere a M5S e PD di indicare, per ogni ministero, una rosa di due o quattro persone, nel rispetto della parità di genere, che i partiti reputano idonee a ricoprire quella carica – dato il programma di governo. Da questa rosa di nomi, il presidente del consiglio sceglierebbe la sua squadra di governo da proporre al Presidente della Repubblica per perfezionarla.

I partiti – e le correnti al loro interno – avrebbero l’incentivo di indicare le persone migliori per il ministero in questione, per vincere la concorrenza degli altri. Il presidente del consiglio avrebbe un buon pool di candidati da cui scegliere in base a competenza e organicità con il programma, rispettando allo stesso tempo dei criteri di rappresentanza per i due partiti. Certo, anche le scelte di Conte dipenderebbero dai suoi incentivi.

L’obiettivo di accontentare il maggior numero di correnti dei due partiti, per massimizzare il supporto politico al governo, porterebbe inevitabilmente a scelte al ribasso – e a un governo mediocre. Ma il presidente del consiglio ha due buoni motivi per volare alto. Un governo con un programma ambizioso e ministri competenti e coesi, benché più difficile da formare, gli conferirebbe uno status da leader politico di successo. E lo metterebbe al riparo dalla possibilità che Matteo Renzi, l’iniziale promotore di un governo M5S-PD, giudichi l’azione di governo poco incisiva e spinga i suoi a staccare la spina in parlamento.

In realtà, questi due motivi dovrebbero stare a cuore anche a Di Maio e Zingaretti. Anche il loro futuro politico dipende da quello del governo.

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