Una bussola manageriale per l’asia

Come relazionarsi con i manager giapponesi: qualche consiglio utile (parte 2)

Lavorare con loro fa scoprire etica del lavoro, rispetto della controparte, preparazione e qualità: sono lenti, ma rasentano la perfezione

di Alfonso Emanuele de Leon *

(REUTERS)

4' di lettura

Nell’articolo precedente dedicato a come relazionarsi con i manager giapponesi abbiamo affrontato le prime tematiche importanti: proseguiamo oggi con i punti rimanenti partendo da una caratteristica che spesso, vista con gli occhi degli occidentali, può essere interpretata come un difetto. Vedremo che le cose non stanno esattamente così.

3. Perfezionismo - Ovvero, tutto viene fatto con il massimo assoluto della qualità. Uguale a “lentezza”. Se conoscete qualcuno che abbia lavorato con i giapponesi, sono sicuro che nei primi cinque minuti della conversazione si sarà lamentato della loro lentezza. Ed è vero. I giapponesi sono lentissimi. Perché si muovono solo quando tutto il processo è perfetto, tutto è stato studiato in ogni minimo dettaglio e si sono considerati tutti i possibili punti di vista ed obiezioni. Non essendo dotato il Paese di alcuna risorsa naturale, e con una popolazione in diminuzione e a piena occupazione, la pressione per le aziende giapponesi è stata di aggiungere sempre il massimo valore aggiunto possibile ai loro prodotti, concentrandosi sulla produttività e sulla tecnologia, con una cura esasperata del dettaglio.

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Questo approccio microingenieristico ha portato il Giappone nel corso degli Anni 70, 80 e 90 a dominare diversi settori mondiali: dai treni ad alta velocità alle tecnologie nucleari, dalle consolle dei videogiochi agli schermi dei televisori e dei cellulari, fino al più grande produttore mondiale di automobili, la Toyota. Anche se è vero che poi alcuni settori hanno subito un processo di accelerazione del cambiamento al quale i leader giapponesi non sono sempre riusciti a stare al passo. Tutto questo significa che nella relazione con i giapponesi, questi vi inonderanno di domande e di richieste di piccoli dettagli. In alcuni contesti questo verrà vissuto con impazienza e fastidio da parte della casa madre.

Il mio consiglio è di armarsi di pazienza dal primo giorno in quanto la lentezza e la richiesta di minuziose informazioni rappresentano il vero costo di lavorare col Giappone. E ad ogni modo la controparte nipponica non partirà mai senza la sicurezza di avere ogni singolo dettaglio sotto controllo. Quindi soddisfare la loro sete minuziosa di dettagli è anche un modo di accelerare il processo.

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Corollario di tutto questo è che qualsiasi riunione va preparata bene in anticipo. Un esempio quasi paradossale: nella preparazione dell’agenda delle mie market visit in Giappone mandavo sempre loro la mia proposta con una o due dozzine di punti all’ordine del giorno. Un approccio che in qualsiasi altra parte del mondo sarebbe stato considerato di micro-management, nei colleghi giapponesi aumentava il loro livello di sicurezza e li aiutava a preparare meglio la riunione.

4. Il ruolo del silenzio nella comunicazione - Questo è un aspetto fondamentale. Rispettare il loro bisogno di pensare a fondo le cose, anche in riunione, e rispettare il loro silenzio! A dire il vero qui i veri strani siamo noi occidentali. Abbiamo quasi un horror vacui nel quale se in una riunione si verifica una pausa di silenzio bisogna immediatamente interromperla dicendo la prima cosa che ci venga in mente.

Per i è esattamente il contrario. Dare una risposta mezza pensata è sintomo di una superficialità con quale loro non vogliono giungere a compromessi. Quindi rispettare il loro silenzio, pensare per trenta secondi ai fatti proprio mentre loro riflettono sulla risposta, a volte piegando la testa da una parte e dall’altra, altre volte anche confabulando tra loro. E non stupirsi se alla fine chiederanno qualche giorno per darci una risposta che comunque arriverà sempre.

5. Resistenza e resilienza - Qui arrivano i dolori. Se un giapponese è in disaccordo o non vuole fare qualcosa non lo dirà apertamente, anzi non lo dirà per niente. Alla fine l’armonia è il valore principale per loro in Giappone e non vale la pena rovinarla discutendo. E quindi un “yes” in riunione non significa che siano d’accordo e che lo faranno. Significa che ci stanno ascoltando. Qui dobbiamo affidarci ai segnali non verbali che riusciamo a captare, come il loro raschiare la gola con tono basso oppure aspirare aria attraverso i denti.

Ma ci sono anche due piccole parole rivelatrici che ho imparato a interpretare. Una è Muzukashii, che significa «sarà difficile», ma che ho imparato a interpretare come un no. Quando questa veniva pronunciata facevo una piccola scenetta ripetendo la parola Muzukashii e facendo cadere il sipario svelando che in realtà loro non erano d’accordo per niente. La cosa sdrammatizzava molto le situazioni e prima di ricominciare a discutere ci facevamo tutti una risata.

L’altra parola è Muri o Muri-desu. Quando la si sente è un segnale che abbiamo esagerato: perché significa “irragionevole”. In entrambi i casi bisogna ridiscutere le cose e come detto al primo punto, potrebbe essere necessario ritornare a fare un po’ di lavoro dietro le quinte prima di nuovamente affrontare il tema in riunione. Se non si riconoscono questi segnali, esercitando un approccio a schiacciasassi preparatevi ad affrontare il Paese con la maggior resistenza e resilienza al mondo: e nonostante la vostra autorità non è detto che ne usciate vincenti.

Ne sa qualcosa Carlos Goshn, amministratore delegato di Renault, e salvatore di Nissan, che dopo dieci anni di successi riconosciti anche in Giappone, quando ha provato a forzare la fusione tra la casa automobilistica nipponica con la madre francese, cosa assolutamente contraria al principio di purezza ed indipendenza giapponese, da un giorno all’altro si è ritrovato dietro alle sbarre di una prigione di Tokyo, in un’ agguato degno di samurai e ninja medioevali.

Ma alla fine lavorare con i giapponesi è un'esperienza straordinaria, per la loro etica del lavoro, per la cultura del rispetto della controparte, per la minuzia nella preparazione e nella qualità di ogni cosa che fanno. Lenti, ma rasentando la perfezione.

Chiudo con un piccolo invito. Anche dopo tante riunioni in Giappone e addirittura anche per chi vi ha vissuto, dovremo riconoscere che alcune cose rimarranno sempre un mistero. Che non riusciremo mai a capire esattamente il 100% delle ragioni di certi comportamenti. Essere un Gaijin (straniero) in Giappone significa assumere che comunque si sta vivendo in un mondo misterioso e solo parzialmente penetrabile e forse anche in questo risiede la bellezza mistica di questo Paese unico al mondo.

* Partner presso FA Hong Kong Consulting

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