Interventi

Come rendere le adozioni più sostenibili

di Rosa Rosnati

(Viacheslav Iakobchuk - stock.adobe.com)

3' di lettura

Alla domanda “se un suo amico o una sua amica non potesse avere figli, cosa consiglierebbe?” nel 2019 il 39,8 % degli italiani ha indicato l'adozione come prima scelta (Italia Adozioni). E oggi? In mezzo alla pandemia, nel gelo demografico che caratterizza l'Italia, questa percentuale sarebbe la stessa? Non è difficile immaginare che sarebbe assai ridotta. E i dati parlano chiaro registrando una riduzione delle domande di adozione.

Il tema della sostenibilità è oggi applicato in molti ambiti e potremmo allora chiederci: le adozioni sono “sostenibili”? Pensiamo alle famiglie adottive, al tempo impiegato, ai costi sostenuti (in particolare nell'adozione internazionale), alle visite mediche e alle innumerevoli visite specialistiche spesso necessarie (logopedia, psicomotricità, sostegno psicologico, e così via). E poi non pochi sono i bambini che presentano disturbi nell'apprendimento o che necessitano a scuola di un programma individualizzato, per non parlare di quella percentuale, benché residuale, di adolescenti adottati collocati in comunità educativa o terapeutica. La prima risposta che verrebbe in mente è “No, non sono sostenibili”.

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Ma è necessario allargare lo sguardo e chiedersi quale sarebbe il destino di questi bambini. E i bambini privi di un contesto familiare adeguato sono una drammatica realtà che non può essere ignorata e che non può essere affrontata se non facendo appello alla risorsa ‘famiglia'. Infatti, come sappiamo dalle ricerche, i bambini che rimangono in istituto/comunità residenziale accumulano un ritardo molto consistente nella crescita psicofisica (peso, altezza e circonferenza cranica), nello sviluppo cognitivo (quoziente intellettivo) e nella capacità di instaurare un legame di attaccamento quando sono confrontati con i bambini collocati in famiglia adottiva. L'adozione è infatti capace di cambiare in modo significativo l'itinerario di crescita di questi bambini.

Allora è chiaro che le adozioni non sono sostenibili se il carico ricade solo ed esclusivamente sulle famiglie, ma sono da sostenere, in termini di equità nell'accesso a quelle risorse indispensabili alla crescita e quindi in primis alle risorse relazionali di cui questi bambini sarebbero altrimenti privi. E questa è una responsabilità sociale!

Come rendere le adozioni maggiormente sostenibili?

La prima cosa che si sente dire è snellire i tempi burocratici. È vero, i tempi sono molto lunghi, in media 4 anni e 3 mesi per le adozioni internazionali (commissioneadozioni.it). Ma il problema non è tanto il tempo che intercorre tra la domanda di disponibilità e l'idoneità (10 mesi in media) quanto quello che intercorre tra il conferimento di incarico all'ente autorizzato e l'effettiva adozione e questo tempo dipende in larga misura dai paesi esteri.

È necessario soprattutto intervenire sul post adozione per renderlo più “percorribile”. Come?

La prima necessità è la costituzione di équipe multiprofessionali cui i genitori possano fare riferimento dopo l'ingresso in famiglia e nel tempo. Équipe che comprendano lo psicologo dell'età evolutiva, lo psicologo della famiglia, il pedagogista, il neuropsichiatra e il pediatra. Il nostro paese è del tutto sguarnito. Sarebbero invece fondamentali: una qualsiasi problematica manifestata dal minore (ad esempio comportamenti altamente aggressivi) potrebbe dipendere dalle esperienze traumatiche, dalla trascuratezza, ma anche dalle dinamiche familiari o da stili educativi troppo rigidi o ancora da fattori genetici, peri- e postnatali (come la sindrome fetoalcolica) o da tutti o molti di questi fattori congiuntamente. È necessario, pertanto, una visione di insieme per progettare interventi proficui.

Si lega a questo un secondo tema cruciale, quello della preparazione e formazione specifica degli operatori che lavorano a diverso titolo in questo campo, a maggior ragione necessaria oggi anche alla luce della recente riforma del tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie. Su questo l'Università Cattolica da tempo si è attrezzata inserendo un corso specifico di psicologia dell'adozione e dell'affido nel curriculum dei futuri psicologi e assistenti sociali e avviando un Master di secondo livello, oggi alla sua sesta edizione.

Il terzo punto è attivare percorsi in gruppo per i genitori adottivi (o anche gruppi misti di genitori adottivi e non adottivi) di potenziamento e arricchimento - chiamati percorsi di enrichment genitoriale - che vadano a valorizzare le risorse e a trasmettere competenze e che creino reti tra i genitori e reti con il contesto sociale e con i servizi del territorio.

Ma tutto ciò sarà ancora insufficiente se non operiamo anche un viraggio culturale per diffondere una cultura che vede le adozioni sostenibili, o meglio da sostenere.

Rosa Rosnati, ordinario di Psicologia sociale Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia. Direttore del master “Affido e adozione e nuove sfide dell'accoglienza famigliare: aspetti clinici, sociali e giuridici” – Università Cattolica

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