Come si introducono gli algoritmi in azienda? Tre narrazioni più una
L’impatto sul lavoro e sulle professioni.comporterà una rivoluzione copernicana. Non è sufficiente adottare tool Ai o scrivere un documento strategico per portare a terra questa tecnologia
di Luca Tremolada
2' di lettura
Ci sono almeno tre narrazioni sull’impatto dell’intelligenza artificiale generativa. Corrono parallele per intrecciarsi sottilmente e occasionalmente. La prima è quella che possiamo definire della distruzione creativa dell’austriaco Schumpeter. Immaginate una curva a U con in ordinata i posti di lavoro e in ascissa il tempo? Ecco, noi saremmo sulla sinistra all’inizio della discesa verso il fondo quando, per capirci, viene introdotta la nuova tecnologia e le aziende senza avere ancora chiaro cosa fare cominciano a cancellare funzioni e lavoratori in attesa di generarne di nuovi.
Poi c’è la narrazione correlata ma distinta dell’impatto sulle professioni creative e artistiche. E quindi scrittori, musicisti, giornalisti, illustratori, videomaker, doppiatori, cantanti e tutti quei mestieri che generano un talento che può essere replicato. O ri-generato. In questo caso ci muoviamo all’interno delle aule dei tribunali dove stanno decidendo se l’Ai generativa copia e quindi deve remunerare chi detiene i diritti d’autore come è giusto che sia o si ispira e quindi non deve niente a nessuno.
Infine c’è la terza narrazione che è quella della regolamentazione nazionale e sovranazionale dell’intelligenza artificiale in tutte le sue declinazioni, da quella tradizionale-generalista alla generativa. E quindi si va dagli allarmi di estinzione del genere umano lanciati dal papà di ChatGpt alle minacce di uscire dall’Europa se le regole si dimostrassero troppo stringenti. Qui il confronto è a tre. Da una parte gli Stati-nazioni, dall’altra le potenze dall’Ai (Usa e Cina) e in mezzo l’Europa che si propone come luogo dove accogliere forme di Ai sostenibili e rispettose dei diritti umani.
Cosa succede con l’Ai nelle aziende
La narrazione che ancora non c’è in modo chiaro è quella delle aziende. Di quello che avviene al loro interno. Di come sta reagendo il management di fronte a quello che viene raccontata come la più grande rivoluzione tecnologica di sempre. «Fino a oggi la sfida era quella di portare i dati nei processi aziendali - ha raccontato Fabio Moioli ex Microsoft uno dei più esperti in questo campo oggi executive search & leadership advisor di Spencer Stuart -. Ora con l’Ai si può immaginare di generare direttamente i processi dai dati». Il cambiamento è copernicano ovvero rappresenta un ribaltamento di sistemi concettuali sino ad allora universalmente accettati. In questa narrazione però l’impatto è davvero ancora più imprevedibile. E per una volta l’Italia non è come al solito l’unica a partire in ritardo.
Come controllare gli algoritmi?
Secondo l’ultimo aggiornamento dell'Ai index dell’Università di Stanford oggi ci sono 62 Stati al mondo che hanno sviluppato una strategia di Ai. Ma come hanno osservato i ricercatori non è sufficiente adottare tool Ai o scrivere un documento strategico per portare a terra questa tecnologia. Quello che ancora nessuna narrazione ha saputo formalizzare è come controllare gli algoritmi che sono alla base del machine learning. Come è possibile mettere in sicurezza sotto il profilo della privacy, come limitare il numero di “falsi positivi” come rendere queste blackbox più trasparenti e controllabili. Molto anzi tutto dipende dal management. Ma per portare l’Ai in azienda si deve partire da qui.
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