Lo stile dopo la crisi

Come vestirsi dopo la crisi: spazio a fantasia ed eccentricità

Ci si aspettava una ritirata anticonsumistica favorita dalla voglia di comfort durante lo smart working: invece, finito il confino la moda è tornata a stupire e a riacquistare il diritto all'eccesso, con le tute superaderenti, e alla frivolezza

di Angelo Flaccavento

L'uscita finale della sfilata Etro A-I 21-22

4' di lettura

Il lascito di questa infinita crisi sanitaria e culturale, almeno per quel che riguarda i mores vestimentari e con beneficio di inventario, non sembra essere la santificazione moraleggiante con annessa devoluzione pseudo pauperista o responsabile invocata nei momenti più bui, e nemmeno l’annullamento del distinguo tra pubblico e privato, ovvero il dilagare nel quotidiano lavorativo e sociale di una pigrizia pigiamosa che annulla ogni remora in nome del comfort, movimento che in realtà andava avanti da tempo tra le genti e che adesso è solo stato ufficialmente sancito dai poteri forti del fashion.

No, il lascito, a giudicare almeno dalle più interessanti collezioni per l’autunno-inverno 2021-2022, ora nei negozi, è tutto uno scintillare, sbrilluccicare e accecare con colori saturi e lisergici, a ogni ora, senza tema di osare a mezzogiorno ciò che, per protocolli ormai vetusti, sarebbe forse più adatto a mezzanotte, o in ufficio quello che un tempo era considerato clubwear. Il confino ci ha trasformati tutti, o quasi, in entertainer: prima con gli infiniti webinar e le dirette e le trasmissioni di ogni sorta per indottrinare su qualsiasi cosa, poi con i patetici e interminabili sketch tiktokari, cui non si sottrae proprio nessuno, dal sedicente medico allo chef all’influencer che si arrabatta con linguaggi sempre più sincopati.

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Lo stile dopo la crisi

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La moda non diventa essa stessa teatrino - lo è già, almeno nella sua forma digitale - ma segue e asseconda questo prepotente moto esibizionistico, in un vorticare di superfici che acchiappano l’occhio e forme che rivelano il corpo, merce suprema. Si dice cha ai periodi di crisi succedano invariabili fiammate di eccentricità ed escapismo. Questo momento storico non fa eccezione ma, in accordo con il rimpicciolimento dell’esistere nel sottosuolo digitale, sono roaring twenties da camera, se non da cameretta, quindi minimi. Nondimeno, si ruggisce, sicché la moda riguadagna la M maiuscola e il sacrosanto diritto all’eccesso, al godimento e alla più inutile, e per questo indispensabile, frivolezza. Chi ha bisogno ad esempio di un cappotto d’oro lucente, di una stola di finta pelliccia foderata di paillettes, di zeppe geometriche e leggings ipnotici?

Nessuno, forse. O tutti. Li propone Prada, vestendo il corpo di guaine che brulicano psichedelie ritmiche e sovrapponendo a questa seconda pelle tutto un armamentario di capi sospesi tra la soubrette e il collegio. L’idea delle gambe stampate, a dirla tutta, non è della signora Miuccia: fu Emilio Pucci, decenni fa, il primo a immaginare la finta nudità della guaina vorticante. Nella casa che porta il suo nome si continua ad aggiornare il ricchissimo archivio, con gusto e sensibilità. Questa stagione è il colore a dilagare, sugli abiti come sulle gambe sempre scoperte ma mai svelate, vivace eppure desaturato, di una luminosità quasi estiva.

Altrove il corpo si scopre per davvero a favor di camera, senza filtri di sorta. Alessandro Dell’Acqua, da N°21 ha in mente una fantasia borghese e perversa, fatta di molto nudo e lingerie, perchè alla pruderie rinunciataria e depressa sarà bene reagire a suon di scosciature e libertinaggio, forse solo suggeriti e mai esperiti - sul web si guarda, ma non si tocca.

Da Blumarine, Nicola Brognano lambisce senza remore il kitsch, guardando ai primi anni duemila di Paris Hilton e Jennifer Lopez, tra mini invereconde, scarpe dalle punte lunghissime e colori acidi.

Tutto questo fiammeggiare punta in una chiara direzione: libertà di espressione, rottura degli schemi e, per quel che oggi è possibile, ribellione, o qualcosa di simile. Veronica Etro pensa al 1968: anno mitico e fors’anche mitologico per le magnifiche sorti e progressive dell’umanità, nonché momento fondativo del marchio di famiglia. Di quel periodo irripetibile carpisce lo spirito libertario, lasciando nell’armadio il patchouli, le zampe d’elefante, i velluti pannè, per tenere le frange, i capi militari stravolti, la sensualità giocosa. Da Saint Laurent libertà è portare un tailleur di tweed da vera signora con un bodysuit metallizzato da vera rockstar. Francesco Risso, da Marni, propone invece abiti dalle proporzioni bizzarre e le superfici solarizzate, definiti da tagli sbilenchi, e insegue una idea di romanticismo contemporaneo che altro non è se non fuga dalla realtà.

Ed è qui che si arriva al punto: che sia nella dimensione intrattenitiva ed esibizionista di un video virale, o nella fantasia di un comic strip futuribile, la moda di questo inverno sfugge le quisquilie grigie e bigie della normalità. Certo, ci sono abbondanti dosi di cammello da Fendi, di country chic da Max Mara e di chic e basta da Dior, ma il realismo socialista delle precedenti stagioni è andato alle ortiche. Da Loewe, Jonathan Anderson lavora di tinte sature, geometrie decise e volumi scultorei, sottolineati da frange grafiche e nappe giganti, che fanno pensare ai costumi per una pièce sperimentale, perchè la vita è Cabaret Voltaire.

Paul Andrews, direttore creativo di Salvatore Ferragamo, parte per un viaggio intergalattico smaltato di colori acrilici, pelli metallizzate e pvc sabbiato, e non torna più indietro. Rick Owens, infine, mescola eroismo e glamour brutale a lampi di paillette ed sofisticherie couture. Le spalle si gonfiano, le gonne si allungano a sirena, i drappeggi si attorcigliano intorno al corpo, sigillato dentro tutine aderentissime, in una visione di belle epoque per il day after sul pianeta B che è energetica e costruttiva, come solo dovrebbe essere la fuga dalla realtà. Altrimenti, è sciocca sventatezza.

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